Dopo il caso dei due ginecologi di Messina che litigano per motivi tutt’altro che nobili e tutt’altro che legati a scelte professionali, viene spontaneo chiedersi: ma esiste ancora l’etica in medicina? La domanda ha un senso anche a prescindere dal dato di fatto se sussista o meno un «nesso eziologico» (come si è premurato di cavillare un responsabile dell’ospedale messinese) tra un vigoroso diverbio tra camici bianchi e le drammatiche conseguenze sulla puerpera e il suo bambino, perché si tratta comunque di uno dei tanti casi di carrierismo e di famelica ricerca di clienti che tutti sappiamo esistere nel comparto sanitario italiano e non solo italiano. Di fronte a quest’ultimo avvilente spettacolo offerto dalla "economia di mercato" in campo medico diventa perfino eufemistico richiamare il famoso giuramento di Ippocrate. Gli impegni ippocratici di regolare il proprio tenore di vita per il bene dei malati, di custodire «con innocenza e purezza» la propria vita e la propria professione medica, di astenersi dal recare offesa e danno volontario ai malati o di perpetuare qualsiasi «azione corruttrice» sul corpo delle donne e degli uomini, nonché di non somministrare «ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale» o «medicinale abortivo», risultano infatti oggi talvolta così anacronistici da suscitare rassegnata indifferenza quando li si scorge appesi in qualche studio medico o in qualche corsia di casa di cura.Se poi prendiamo le formule del cosiddetto «giuramento moderno» nella versione approvata nel 2007 dalla Federazione nazionale ordini medici chirurgici e odontoiatri e le confrontiamo con ciò che è accaduto a Messina, ne scaturisce subito una riflessione su quanto nella nostra epoca appaia notevole il divario tra ciò che si proclama e ciò che concretamente si fa, tra i principi su cui si giura e la coerenza nell’azione di chi ha giurato. Nel giuramento moderno spiccano infatti impegni come quello di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento «rifuggendo ogni indebito condizionamento», di affidare la reputazione professionale esclusivamente alla propria competenza e alle proprie doti morali e di «rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni»; impegni che in molti fatti di cronaca stridono con quello che avviene nei rapporti tra medici e pazienti oppure tra gli stessi operatori della sanità.Certo non dobbiamo e non vogliamo dimenticare che accanto a questi negativi esempi che balzano all’onore della cronaca sussistono sicuramente singole figure di medici vocati davvero al loro mestiere e pronti addirittura a rischiare la vita in ambienti ostili. Non si deve dunque generalizzare impropriamente, non si deve fare "di tutta l’erba un fascio", ma non si può neppure nascondere il fatto che il problema di una caduta del senso etico nel comparto sanitario esiste. La relativizzazione dei valori, la mancanza di una spiccata tensione morale sia individuale sia pubblica, l’egemonia crescente dei modelli egoistici e narcisistici per cui solamente chi ha successo e denaro è una persona che vale investono purtroppo tutte le professioni e tutto il mondo contemporaneo globalizzato, senza più distinzione tra Oriente ed Occidente. E la principale vittima di questo evento è la cultura della solidarietà che sta alla base di quelli che - come su queste colonne ha già ricordato Giuseppe Savagnone - un tempo erano chiamati "mestieri vocazionali", come il medico, l’insegnante e l’assistente sociale (ci asteniamo per pudore dal citare, come si dovrebbe, anche il politico). Se si deve tuttavia prestare attenzione per quanto di negativo avviene nella Sanità non è soltanto perché si tratta di un settore tanto necessario per il bene comune e quindi "sensibile" agli occhi dell’opinione pubblica, ma anche perché è proprio dalle persone che esercitano la professione medica che può venire un esempio di concreto impegno etico capace di contagiare tutto il consesso civile. Questo è perlomeno ciò che sinceramente ci auguriamo.