Salvare vite in mare e no migrazioni a rischio: ecco le cose come stanno
Caro direttore,
salvare vite in mare, certo... Vero. Se mi è concesso dire, è ancora più grande salvare persone finché sono sulla terraferma senza che debbano arrivare ad avventurarsi nel Mediterraneo, rischiando la vita. Ma questo nessuno lo fa, nessuno sembra interessato a farlo. Perché? Mi chiedo. Eppure, è ciò che chiedono anche i vescovi africani.
Proprio così, caro dottor Sansonna. Lei è medico e sa bene che cosa vuol dire salvare vite, con cure da cavallo e con la chirurgia d’urgenza, ma pure con interventi programmati e con la medicina preventiva… Serve questo e serve quello. E nessuno si sognerebbe di accusare chi opera d’urgenza d’essere un “complice” di coloro che avvelenano, usano armi o guidano in modo persino assassino il proprio mezzo a motore. Ai volontari delle organizzazioni umanitarie che soccorrono vite a rischio in mare viene invece imputato con incredibile disprezzo della realtà, e persino del ridicolo, di essere “complici” dei trafficanti di essere umani. Una follia. Lei dice una cosa verissima anche quando ricorda che un vero impegno per la pace e per la giustizia aiuterebbe a fermare tante drammatiche emigrazioni forzate di persone che sono vittime delle guerra o scappano per motivi politici e religiosi, per persecuzioni razziste, per cause sanitarie e climatiche. Ha infine ragione, gentile amico, a sottolineare che a gran voce, e da anni, i vescovi africani sollecitano una solidarietà non solo in extremis e vie regolari di migrazione pure per i poveri dalla pelle scura. Lo chiedono insieme alla comunità cristiana, ai missionari, e tante persone di sguardo limpido e retta coscienza o almeno decente umanità. E soprattutto, diciamocelo ancora una volta, insieme agli uomini e alle donne delle stesse Ong che portano aiuto a profughi e migranti in pericolo. Sono proprio quelli e quelle dello Ong che per davvero li “aiutano a casa loro”. Mentre la grande politica è ancora troppo sorda e inerte (in Italia i fondi per la cooperazione internazionale sono ancora molto lontani dalla quota dello 0,70% del Pil che ci siamo impegnati a investire). Per di più, se e quando i signori e le signore della politica trovano parole e azioni decise, purtroppo avviene in modo aspro e fuori centro, “contro” e non “per”. Perché? Continuo a chiedermelo. E la risposta è: per calcoli e/o per rifiuto dell’«altro». Ed è una risposta così evidente, cinica e triste che sgomenta. Per questo non si possono chiudere gli occhi e non ci si deve rassegnare.