Opinioni

Don Diana, Francesco e terra dei fuochi. Sacrificio e custodia

Maurizio Patriciello mercoledì 20 marzo 2013
​Sono passati diciannove anni da quando don Peppe Diana, a pochi passi dall’Altare, cadeva sotto i colpi esplosi da una vile mano assassina armata dalla camorra. Don Peppino. Il suo nome rimane in benedizione nella Chiesa di Aversa, fiera di annoverarlo tra i suoi figli migliori. Il suo sacrificio ha dato al nostro territorio martoriato nuovo slancio e nuovo vigore per continuare a combattere la battaglia contro il non-amore che è illegalità, sopraffazione, sopruso. Il sangue innocente di questo testimone della fede ha fatto germogliare in questi anni una schiera di persone e associazioni che, senza più paura, alzano testa e voce contro la camorra e contro tutte le mafie, palesi o occulte, che rubano spazio, libertà, respiro, dignità agli uomini creati a immagine di Dio. Per divina disposizione, papa Francesco ha celebrato la Messa di inaugurazione del suo pontificato nella solennità di san Giuseppe, anniversario della morte del giovane parroco di Casale. Ascoltare la sua omelia è stato come bere un sorso di acqua fresca in una torrida giornata estiva. Un incanto. Sull’esempio di san Giuseppe, custode di Maria e del piccolo Gesù, il Papa ci ha invitato a riscoprire l’arte del custodire. «Giuseppe – ha detto – è custode perché sa ascoltare Dio». Custodire, dunque. Amori, amicizie. Custodire il Creato senza dimenticare la custodia di noi stessi. Il Papa si è fatto portavoce della intera umanità allorché ha chiesto, con voce ferma e dolce, ai grandi della Terra di avere a cuore il Creato. Qualche giorno fa, rammaricato, disse che «non sempre abbiamo un buon rapporto con esso». È risuonato forte, poi, il richiamo a non aver paura. A essere dunque coraggiosi. «Non abbiate paura della bontà e nemmeno della tenerezza, che non è virtù dei deboli. Al contrario...». Apprendiamo la lezione. Impariamo a dire a chi ci tiene compagnia a casa, a scuola, sul posto di lavoro: «Tu mi sei caro. Tengo tanto alla tua amicizia. Aiutiamoci a farci del bene...». Non basta infatti solo pensarlo e nemmeno lasciarlo immaginare. Occorre dirlo e ripeterlo. Magari accompagnando le parole con piccoli gesti giusti. Proprio come sta facendo papa Francesco. Al figlio che esce la mattina i genitori, benedicendolo, ricorderanno: «Tu ci sei prezioso più dell’oro... la nostra gioia dipende anche dalla tua. Abbiamo bisogno di te, delle tue parole, delle tue smorfie, dei tuoi silenzi, dei tuoi capricci...». E imitando il gesto del Papa: «Figlio, benedicici per primo...». La giornata sotto il segno della benedizione, della preghiera e dell’amore manifestato comincia sotto i migliori auspici. «Odio, invidia, superbia sporcano la vita», ha continuato il Papa. Perciò occorre vigilare sul nostro cuore. Chiedere, come insegna sant’Ignazio, a ogni pensiero a ogni fantasia che si affacciano nell’animo: «Chi sei? Da dove vieni? Chi ti manda?». Per essere pronti a spalancar loro la porta se vengono da Dio o a sbarrargliela senza indugio se il mandante è il nemico delle anime nostre. Discernimento, dunque. Magari sotto la guida di un buon padre spirituale. Non occorre aver paura nemmeno del potere ricordando, però, che «non c’è vero potere che non sia servizio». Innanzitutto, ai più poveri, ai più deboli. Anche noi uomini e donne campani della "terra dei fuochi" abbiamo gioito per ogni parola di papa Francesco, accogliendo con particolare speranza quelle espresse sulla salvaguardia del Creato. Noi che paghiamo un prezzo altissimo in vite umane per l’avvelenamento continuo del nostro territorio con rifiuti e roghi tossici sentiamo di avere nel vescovo di Roma una guida e un amico che ci aiuterà a uscire dalla trappola in cui siamo stati cacciati da chi ancora non riesce a comprendere che maltrattare la terra, avvelenare l’acqua, rendere sporca l’aria vuol dire uccidere anche l’uomo.