Il presidente Inps. Sì, per le persone con disabilità va migliorata la comunicazione
Caro direttore,
di fronte alle disabilità le istituzioni hanno l’obbligo di non restare inerti e hanno il dovere di abbattere barriere. Ovviamente, le barriere non sono solo quelle architettoniche o logistiche che ostacolano chi sia con disabilità fisica, ma soprattutto quelle che nelle pieghe di norme, procedure, prassi e approcci delle pubbliche amministrazioni possano non tener conto delle specifiche esigenze delle persone con disabilità o dei loro familiari. Per tutti loro, ancor più che per altri, la parola “diritti” deve andare di pari passo con quella di “dignità”. Certamente, alcuni passi avanti sono stati fatti in questi ultimi anni, spesso grazie al continuo stimolo di associazioni, di singoli casi di cronaca portati all’attenzione mediatica o della caparbietà di alcuni disabili o loro familiari. Ma è ancora troppo poco.
Leggendo nei giorni scorsi sulle pagine di questo giornale una profonda e sentita testimonianza di Antonio Maria Mira, padre e fratello di persone con disabilità oltre che giornalista di grande sensibilità ed esperienza, ho riflettuto ancora una volta su quanto un Istituto come l’Inps – che presiedo dal 2019 – abbia cercato di fare in questi anni per semplificare l’accesso a prestazioni e procedure, anche a vantaggio delle persone con disabilità fisica o cognitiva. Penso alla forte spinta alla digitalizzazione dei servizi, che permette di operare e interagire da remoto con l’istituto per le domande e le certificazioni; penso alla possibilità, dal 2020-21, di accertare la malattia attraverso la valutazione “agli atti”, cioè inviando online i certificati medici specialistici anziché andare a visita, con una grande semplificazione per i disabili e le loro famiglie; penso alla disability card introdotta nel 2021, una card magnetica con un QR code che evita ai disabili di girare con documenti, di avere invece tutto in tasca – autorizzazioni, permessi, sconti, accessi agevolati al sistema cultura – con una carta che rimane sempre aggiornabile.
Penso ai numerosi accordi fatti con tanti ospedali specialistici nel Paese, da Nord a Sud, al fine di favorire la trasmissione dei certificati da parte dei medici direttamente dall’ospedale accedendo ai nostri portali, evitando ai disabili e alle loro famiglie ulteriori barriere e “dolore” burocratico dopo il dramma della diagnosi di una malattia. Penso alle convenzioni che abbiamo già con sette Regioni in Italia che evitano il doppio livello di accertamenti della malattia, da parte dell’Asl e da parte dell’Inps. Purtroppo, questo doppio controllo è reso necessario nelle altre Regioni senza convenzione, poiché le Regioni non vogliono rinunciare a una loro prerogativa in materia sanitaria, data loro direttamente dal Titolo V della Costituzione. Una questione sicuramente da affrontare e da sanare. Tutto questo ci ha permesso di abbattere i tempi di accertamento e liquidazione della prestazione, oggi inferiori ai trenta giorni nelle Regioni in convenzione.
Non basta, certo. Non sempre le comunicazioni della pubblica amministrazione riescono a mettere in campo la giusta sensibilità e attenzione verso le specifiche esigenze di ciascuna situazione. Talvolta diverse amministrazioni viaggiano su binari paralleli e non comunicano tra loro nelle iniziative o senza un agile coordinamento delle prestazioni. Anche l’Inps ha commesso errori in alcuni casi. Io stesso ho personalmente chiesto scusa per alcune “insensibilità” e ritardi.
Come Istituto, possiamo concedere una prestazione – in assoluto, per chiunque – solo a seguito di una domanda e di una verifica dei rispettivi requisiti previsti. Nel caso di persone con disabilità, questi passaggi possono essere percepiti e risultare praticamente più complicati, ostili, indelicati. Ma è anche probabile che in molti non conoscano neanche di poter aver accesso ad alcune prestazioni o che non riescano ad avere un adeguato supporto per completare e veder seguita al meglio la loro domanda, o ottenere nel tempo degli adeguamenti. Questo non è facilmente gestibile per le persone con invalidità e può diventare ancora più “faticoso” per i familiari di coloro che debbono già vivere le complessità di un bambino o un adulto con disabilità psicofisiche.
Non tutte le disabilità sono uguali, ci ricordava limpidamente e duramente Mira per esperienza vissuta, e certo sul fronte del miglioramento dei canali di comunicazione, dei servizi pubblici e dell’approccio professionale verso coloro che portano sulle loro spalle un “peso diverso” abbiamo il dovere morale e istituzionale di fare di più. Mio padre, sordo-muto, imparò a parlare, o meglio a dire qualche parola, dopo di me. Fu necessario scoprire, a fine anni Settanta, che la sua sordità era di impedimento alla sua parola, e solo dopo che la Mutua gli fornì un apparecchio acustico, poté iniziare a parlare. Ma questo ritardo gli causò un danno permanente, irrimediabile.
Dobbiamo ogni tanto fermarci, anche quando collaboriamo all’implementazione di una norma e di una procedura, quando offriamo servizio allo sportello, quando organizziamo delle visite mediche o dei controlli amministrativi, quando formiamo il personale, e pensare a come rendere più chiare e fluide situazioni già enormemente faticose da affrontare per persone con disabilità e dai loro familiari, ascoltando le loro particolari necessità, analizzando l’impatto sul loro vissuto. In alcuni casi, basterebbe anche solo un po’ più di dialogo, di comprensione, di attenzione specifica a cittadini che chiedono adeguata dignità e riconoscimento, nel rispetto di valori che sono il cardine della nostra Costituzione.
Dobbiamo riprendere la riforma della disabilità avviata nel 2021 con una legge delega, ispirata alla Convenzione Onu sulla disabilità ratificata nel 2009, la quale prevede che le menomazioni vadano valutate nel contesto ambientale del disabile avendo riguardo alla presenza delle tante “barriere” nelle nostre comunità. A tale valutazione di “base” seguirà un “accertamento multidimensionale individuale” finalizzato alla completa inclusione sociale del disabile sulla base di una piena eguaglianza dei diritti. Dobbiamo assicurare a ogni persona con disabilità il reinserimento nella società: rafforzando il collocamento mirato, assicurando un progetto personalizzato per ogni persona disabile, aggiungendo alla prestazione monetaria, servizi di riabilitazioni e di ricreazione presso centri, comunità, Comuni.
È per fortuna finita la “caccia al falso invalido” o al cieco perché scoperto “in flagranza mentre ballava”. Oggi ogni persona con disabilità invece deve essere incoraggiata verso possibili processi di autonomia, di lavoro, di godimento del tempo libero, e questo non deve essere motivo di rifiuto della prestazione monetaria per la disabilità. Su questo l’Inps oggi è fortemente orientato, con sensibilità e vicinanza. Ancor di più deve essere fatto per accompagnare coloro che sono con disabilità psichiche, ascoltando e aiutando a 360 gradi i loro familiari, che affrontano ogni giorno ostacoli inimmaginabili per la dignità dei loro cari.
Presidente dell’Inps