Opinioni

Le ragioni (progressiste). Sì all'abolizione universale della maternità surrogata

Stefano Fassina sabato 23 aprile 2022

Caro direttore,

la maternità surrogata, detta “gestazione per altri” (Gpa) o «utero in affitto», vietata in Italia dalla Legge 40 del 2004, ma praticata in diversi Stati, è la messa a disposizione del corpo delle donne per far nascere bambini da consegnare ai loro committenti. Lungi dall’essere un atto individuale, un dono, è una pratica realizzata su scala industriale da imprese di riproduzione umana, in un sistema organizzato di cliniche, medici, avvocati e agenzie di marketing e di intermediazione. In tale sistema, le donne sono mezzi di produzione: la gravidanza e il parto diventano procedure dotate di un valore d’uso e di un valore di scambio in un mercato globalizzato.

Nella tragedia della guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, abbiamo assistito – e le cronache di “Avvenire” lo hanno testimoniato – a una tragedia ancora più disumana: decine di neonati, frutto di maternità surrogata, lasciati in uno scantinato, accuditi con amore da poche coraggiose assistenti rimaste con loro. Altre decine nascono ogni giorno, nonostante l’impossibilità di essere consegnati come previsto da contratto (l’Ucraina è leader mondiale nell’export di tale “prodotto”). Sono le agghiaccianti conseguenze della mercificazione della vita. Non possiamo rimanere a guardare i video e le foto. Dobbiamo moltiplicare il nostro impegno per l’abolizione universale della maternità surrogata.

Per l’abolizione universale della maternità surrogata si è espresso il Parla- mento europeo in una risoluzione del dicembre 2015. È anche l’obiettivo della campagna promossa dalla “Carta” firmata a Parigi a febbraio 2016 da un vasto fronte di associazioni femministe e di intellettuali della sinistra.

Chi condivide la legge italiana punitiva della maternità surrogata, per coerenza si deve impegnare per evitarne l’ordinario aggiramento. A tal fine, noi parlamentari di area progressista dobbiamo sostenere l’iniziativa legislativa meritoriamente riavviata in Commissione Giustizia alla Camera, intorno al testo base a prima firma Giorgia Meloni, sostanzialmente identico al testo presentato da Mara Carfagna, e anche da me sottoscritto un paio d’anni fa. Le due Pdl sono minimali, un solo articolo, un solo comma, e non si prestano a strumentalizzazioni: al comma 6 dell’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero». L’approvazione in Italia di tale norma sarebbe un passo così importante da avere certo un impatto incisivo anche sul Parlamento europeo per la redazione, l’adozione e l’efficace operatività di una convenzione internazionale per universalizzare il reato di maternità surrogata.

Qui, non è in discussione il principio irrinunciabile dell’autodeterminazione della persona, della donna in particolare, come non lo era nel “no” all’imposizione della teoria gender attraverso la proposta Zan. L’obiettivo è la protezione della donna, quasi sempre in condizione di difficoltà economiche, dall’«individualismo proprietario», come efficacemente lo definiva il compianto Pietro Barcellona, esteso alla sacra dimensione della riproduzione della vita. L’obiettivo è, al contempo, la protezione della bambina e del bambino reso, nella asimmetria di potere di mercato tra donna e committente, prodotto con valore di scambio, nell’annullamento della distinzione tra persona e merce. Nel pieno rispetto e comprensione del desiderio di maternità e paternità, va affermata la “cultura del limite” per ribadire che il desiderio non può diventare sempre un diritto: avere un figlio non è un diritto.

Infine, un’amara considerazione sulla cultura politica della sinistra. La propongo con l’ultimo scritto di Pier Paolo Pasolini, nel centenario della nascita. Sarebbe dovuto essere il suo intervento al Congresso del Partito Radicale un paio di giorni dopo il suo assassinio, avvenuto il 2 novembre 1975: «... il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi ... la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione ... che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera».

Deputato di LeU