Opinioni

Povertà e corruzione. I due volti della Romania che richiama i suoi emigrati

Mihaela Iordache giovedì 4 gennaio 2018

Una crescita del Pil dell’8,6% nel terzo trimestre 2017: l’ha fatta registrare la Romania, migliore performance dell’intera Unione Europea. Un dato che però nasconde i gravi problemi strutturali di un Paese in cui il rischio povertà colpisce larghe fette della popolazione. Davanti a questi dati economici, con una previsione di aumento su base annua stimata nel 5,7% (e una proiezione del 4,4% per il 2018), non si deve infatti dimenticare che la Romania ha circa quattro milioni di cittadini che sono andati all’estero in cerca di migliori condizioni di vita. Secondo gli economisti, quella di Bucarest è una crescita trainata soprattutto dai consumi, principalmente grazie all’aumento dei salari. Lo stipendio medio mensile ha raggiunto i livelli massimi negli ultimi 10 anni, aggirandosi oggi intorno ai 533 euro. Si guadagna di più nella capitale, e poi a Cluj, in Transilvania. Che la domanda sia in forte rialzo lo hanno capito molte multinazionali: sono decine i centri commerciali (da far concorrenza ai mall americani) sorti recentemente a Bucarest. Ai supermercati non mancano clienti, i prezzi in alcuni casi sono più alti che in Europa occidentale, e continuano a salire: l’inflazione non a caso ha raggiunto il record degli ultimi quattro anni, attestandosi al 3.2%.

Con i prezzi cresce il divario tra Bucarest e il resto del Paese. Metropoli di due milioni di abitanti, la capitale ha conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo. Si sono colorati molti dei grigi palazzi costruiti da Ceausescu; il suo centro storico, Lipscani, è ormai una zona ricercata per le terrazze, i bar e la vita notturna. Ogni anno nella capitale si organizza il festival internazionale di musica classica dedicato a George Enescu, molti sono i festival di teatro e le mostre nei 30 musei. E poi vi sono le più grandi e moderne terme d’Europa, senza trascurare gli ampi parchi. Notevoli investimenti hanno portato alla nascita di cliniche private, che però non sono alla portata di tutti. Bucarest alterna infatti a quartieri nuovi e lussuosi aree più disagiate, in cui prevalgono povertà e degrado, come a Ferentari. Sulla scia della capitale si sono messe le contee di Cluj, Timis, Prahova, Costanza, Brasov e Sibiu. Ma nelle restanti regioni – la Romania è divisa in 41 contee – domina spesso la miseria. Ad esempio, Vaslui, Botosani e Teleorman vedono molta parte della popolazione vivere di sussidi sociali. E in questa fascia del Paese scarseggiano sia gli investimenti pubblici sia quelli privati.

A frenare da anni uno sviluppo armonico del Paese sembra essere la corruzione. Non è una semplice coincidenza che la serie televisiva più seguita sia Las Fierbinti – trasmessa dalla tv privata ProTv – nella quale si racconta di un sindaco corrotto che utilizza per scopi personali i fondi destinati alla manutenzione della scuola del paese, mentre il prefetto della contea aspetta ogni mese 'la sua parte' in denaro e spiega al sindaco che pure lui deve dare mazzette più in alto: al partito, ai ministri, ai parlamentari. Un fiction ispirata alla cronaca quotidiana: quasi 1.300 funzionari sono stati rinviati a giudizio lo scorso anno in Romania per reati di corruzione, con un danno di 260 milioni di euro per le casse dello Stato. Tra questi casi anche scandali di alto livello, che hanno coinvolto tre ministri, 17 parlamentari, 16 magistrati e 20 dirigenti di aziende pubbliche. La Romania ha anche i suoi oligarchi condannati, indagati o ricercati per corruzione e spesso legati ai vecchi e agli attuali servizi segreti.

Un quadro complesso, dunque, per un Paese che sembra lottare tutti i giorni contro i politici corrotti che frenano il suo sviluppo e contro le ombre del passato. Ed è per questo che dall’inizio dell’anno scorso i romeni scendono in piazza a decine di migliaia per protestare contro le modifiche legislative in tema di giustizia volute dai socialdemocratici al potere, accusati di voler insabbiare le inchieste più scottanti. Recentemente la maggioranza ci ha riprovato: è stata proposta una modifica del Codice che depenalizza i casi di corruzione inferiori ai 200mila euro, permette gli arresti domiciliari per condanne fino a tre anni, riduce tutte le pene e cancella il reato per chi abusa della propria posizione per ottenere favori sessuali. Ciò permetterebbe, come fanno notare molti commentatori, di mettere fine al processo in cui è accusato Liviu Dragnea, leader proprio dei socialdemocratici. La via dello sviluppo e della crescita resta comunque tortuosa, sotto ogni profilo. Nel giugno 2017, alla fine della sua missione a Bucarest come direttore della Banca Mondiale, Elisabetta Capannelli aveva spiegato che dal punto di vista economico la Romania sta meglio ma esistono tuttavia molte debolezze generate dal fatto che gli ultimi anni sono stati dominati da misure pro-consumi mentre poca attenzione è stata dedicata a iniziative in favore degli investimenti e dello sfruttamento dei fondi europei. Dinamiche confermate anche per l’anno appena iniziato: il governo socialdemocratico del premier Mihai Tudose ha annunciato di voler aumentare lo stipendio minimo lordo a 1.900 lei (circa 413 euro), il che significherebbe, secondo quando hanno messo in rilievo gli analisti, superare Lettonia e Lituania (attestate intorno ai 380 euro) e raggiungere l’Ungheria. Il Paese ha peraltro già fatto registrare il più alto indice di crescita del salario minimo nella Ue per il periodo gennaio 2016-febbraio 2017 (circa il 38%). Valentin Lazea, economista della Banca nazionale della Romania, ritiene che uno stipendio minimo netto di circa 300 euro potrebbe essere sostenibile per l’economia e contribuirebbe a ridurre il divario tra ricchi e poveri. La crescita dello stipendio minimo «è stata utile e necessaria in passato», ha spiegato Lazea, ma per il momento, a suo avviso, si dovrebbe rallentare. Lazea ha aggiunto che si è arrivati a un potere d’acquisto che è il 59% rispetto alla media Ue. Nel frattempo, tuttavia, è aumentato il debito pubblico, del 38% negli ultimi 25 anni.

Di certo la Romania ha ancora da fare molta strada così come altrettante strade (esistono soltanto 750 km di autostrade): sviluppare le infrastrutture, modernizzare scuole e ospedali, dotare la sanità di strumenti e farmaci adeguati, sviluppare le zone rurali in cui mancano persino le fognature. Bucarest dovrebbe inoltre investire di più sull’infanzia, in un Paese dove – secondo i dati Eurostat – quasi la metà dei minori sono a rischio povertà. Dati confermati di recente dal Collegio nazionale degli Assistenti sociali, secondo i quali ogni sera in Romania 200mila bambini vanno a dormire senza aver mangiato. In base statistiche europee aggiornate a ottobre 2017, il 38,8% dalla popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale, con particolare disagio tra i pensionati. È così che si presenta la Romania: assieme al primato di crescita economica, in Europa ha paradossalmente anche quello, negativo, di diseguaglianze sociali.

Ma i paradossi spuntano ovunque. Uno studio della Banca Nazionale indica come circa quattro milioni di persone non lavorano e non cercano un’occupazione, mentre scarseggia la mano d’opera in settori come l’edilizia e la sanità a causa della massiccia emigrazione. Nei giorni scorsi alcuni proprietari di carrozzerie automobilistiche hanno inviato una lettera all’ambasciata di Cina a Bucarest nella quale offrono posti di lavoro pagati tra 500-800 euro al mese più vitto e alloggio a cinesi disponibili a trasferirsi in Romania. Intanto il Paese spera di far tornare i suoi cittadini che si trovano all’estero, e per questo ha attivato il programma sostenuto dai fondi europei Diaspora StartUp: ogni persona che dimostra di aver vissuto per almeno un anno fuori dai confini può ricevere 40mila euro a fondo perduto se, tornando a casa, si impegna ad aprire una piccola impresa e creare almeno due posti di lavoro. Resta da vedere quanti romeni si faranno convincere che sia giunto il momento di rientrare in patria.