Il direttore risponde. Rom, parliamo di persone non di «categorie» astratte
Antonio
Rispetto la cortese richiesta di non pubblicare per intero il suo nome e la località dove vive, caro signor Antonio. Sebbene non la capisca del tutto. La storia che ci racconta, che la riguarda e le appartiene è anche dolorosa, eppure è serena e rasserenante. Credo che noi tutti abbiamo bisogno di tornare a pensare, con molta semplicità, che quando parliamo di appartenenti a un gruppo etnico (o sociale o religioso o politico...) parliamo di persone in carne e ossa, di vicende originali e sempre diverse, di esperienze e di sentimenti che non è giusto e neppure possibile comprimere con sospetto in una "categoria" rigida e negativa. Fare questo non significa abbandonarsi a quello che – con irrisione – viene definito «buonismo», ma cercare di vivere a occhi davvero aperti i nostri giorni e i nostri incontri. Non significa, insomma, rinunciare alla capacità di giudizio e al dovere di distinguere il bene dal male, ma vuol dire resistere alla notte del cuore. Quella che ingigantisce le paure e immiserisce i nostri rapporti con gli «altri». Auguri sinceri e affettuosi a lei e ai bambini rom che l’hanno adottata come nonno. Auguri a ciascuno di noi, in questi tempi popolati da sirene stonate e aggressive. Che ci riesca di essere più generosi e vigili che diffidenti e chiusi.