Taranto 21: non chiamatelo convegno. Ritrovarsi è cambiare
Quanto sia prezioso ritrovarsi si fa chiaro quando succede davvero. È così, e non c’è crisi in grado di far fuori questa umana realtà: nulla vale l’incontro diretto, l’occasione per vedersi, l’abbraccio forse solo accennato, in ossequio alle prudenze sanitarie, lo scambio diretto (e vigoroso) di idee e di esperienze. C’è in questa stagione di ripresa cauta eppure ogni giorno più convinta la felice constatazione che siamo ancora noi, vivi e inquieti, in cerca degli altri e di noi stessi. Di progetti, di amici, di interlocutori seri. Abbiamo ancora bisogno di condividere quel che ci preme, l’impegno che muove la vita. Vedersi tra chi sente di dover dare corpo a speranza e futuro, cercandone intanto i germogli dovunque spuntino, è indispensabile soprattutto per non pensarsi isolati, forse illusi, campioni di navigazione solitaria e vana, e sapersi viceversa dentro un cammino che è di tanti con lo stesso sguardo di attesa del meglio ancora da venire. Incontrarsi, allora, è necessario semmai più di prima.
Della Settimana sociale nazionale di Taranto dunque c’era un gran bisogno, proprio ora che si riprende la strada. Ora che il Paese si rimette in piedi, che la Chiesa avvia l’esperienza sinodale, ora che si aggrovigliano segnali di fiducia e di incertezza, idee e sogni con ferite che restano e altre che si aprono. Ora che ovunque si avverte la fretta di lasciarsi la notte alle spalle: proprio ora bisogna ritrovarsi, rivedere volti e vite che ci sono familiari, fare nuove conoscenze tra chi percorre la nostra stessa strada, magari con altro ritmo e stile, forse con una diversa mappa tra le mani.
Con una meta comune, però: dovunque si può, «proporre percorsi di cambiamento duraturi», per dirla con l’espressione che il Papa ha affidato ai 670 delegati dalle diocesi di tutta Italia convenuti nella città pugliese, purtroppo segnata da anni di sviluppo e di crisi ugualmente insostenibili. In quattro parole ha tracciato un intero programma per oggi e domani. E un buon motivo per non perdersi di vista, perché la pandemia ci ha spiegato a modo suo che sentirci ed essere una comunità variegata e viva è la condizione per affrontare ogni prova e preparare un futuro abitabile.
Da Taranto la Chiesa italiana sta dicendo al Paese che serve tornare a guardarsi negli occhi, ma davvero, perché la tecnologia digitale – che pure sta ancora dando una mano a non lasciar smagliare il tessuto ecclesiale e civile – va usata bene (e non va lasciata a chi la usa male), ma mai potrà comunicare la gioia generativa di chi si ritrova dopo mesi di obbligati contatti a distanza. E il primo appuntamento in Italia allestito dopo la stagione dei lockdown da una 'grande organizzazione' diffusa e davvero popolare, con centinaia di partecipanti in rappresentanza di milioni e milioni di 'partecipi', è un segnale potente di fiducia. Un modo per dire forte e chiaro, da cattolici e da cittadini, 'bentornato, domani', e 'benvenuti, in un tempo d’impegno'.
Rimettersi in marcia è molto ma non è tutto: serve farlo con coraggio e ambizione di bene, e farlo insieme, sentendosi responsabili degli altri, facendo posto a chi non ne aveva mai avuto. Non è la stagione dell’indifferenza, né di quella libertà tutta a scartamento individuale che ci vogliono far bere come buona. Non c’è più spazio per parole vuote. Non può essere il tempo dell’apatia e della delega di pensieri e fatti, come se altri potessero prendere il nostro posto. Se non ci siamo, semplicemente mancherà quel che potevamo dare. Che è molto. E forse neppure abbiamo idea di quanto può servire.
Ecco perché è così necessaria Taranto, e il suo clima sociale e ambientale. Giorni insperati, e invece eccoci di nuovo a cercare l’orizzonte insieme. «Questo appuntamento ha un sapore speciale – ha detto il Papa ai delegati –. Si avverte il bisogno di incontrarsi e di vedersi in volto, di sorridere e di progettare, di pregare e sognare insieme». Non siamo organizzatori di convegni: siamo la Chiesa che sente la stagione che viviamo come un’occasione inimmaginabile per essere se stessa ancor più di prima. E mai solo per se stessa. È l’alba del seminatore. Ed è chiaro qual è il campo che ci attende.