Non ha usato mezzi termini o perifrasi il governatore Ignazio Visco all’annuale assemblea della Banca d’Italia celebrata ieri mattina a Roma, nel mettere con impietoso coraggio il dito sulla piaga: una primaria responsabilità nella crisi recessiva che stiamo attraversando è da imputare al «pianeta credito». In contemporanea, Mario Draghi governatore della Bce indicava il pericolo rappresentato dagli istituti spagnoli che scarsi in liquidità invocano l’intervento pubblico. Nel mentre, sui mercati in preda a strisciante sfiducia, per quanto ci riguarda, il differenziale fra i titoli decennali (Btp) non regredisce da un pericoloso 470 punti rispetto ai bund tedeschi. Livello prossimo a quello del novembre scorso, vanificando le fatiche e l’impegno di risanamento di Mario Monti. Gettare la croce del calvario economico-finanziario che stiamo vivendo sulle banche può sembrare eccessivo. La ricerca di un capro espiatorio. Eppure la realtà lascia scarsi dubbi: la grande crisi del nostro tempo ha dimensioni planetarie. In una serie di scosse telluriche successive, ha per epicentro istituti che parevano giganti. Invece, nei loro bilanci nascondevano magagne di ogni sorta. A trovare conferma basta scorrere i listini di Borsa. In un triennio o poco più, hanno visto declinare le quotazioni dall’80 al 90 per cento, nonostante il succedersi degli aumenti di capitale. Con un’autentica spoliazione di milioni di piccoli azionisti; e facendo trattenere il fiato ai risparmiatori-clienti che, in giustificata ansia, si chiedono: «Quanto è vicina la Grecia?». Fortunatamente da noi, a differenza degli spagnoli, greci e portoghesi, la clientela mantiene i nervi saldi. Non si registrano corse ai prelievi. Tuttavia, proprio innanzi al senso di responsabilità popolare, i banchieri dovrebbero compiere atti di contrizione. Interrogarsi. Certi applausi alla relazione del governatore Visco, avevano invece il sapore agro di un’auto assoluzione. Banche & banchieri (spesso in plancia di comando da tempo immemorabile, mentre a pagare un ingiusto scotto è stato l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, assolto dall’accusa che gli costò Via Nazionale quando aveva commesso l’errore di avere «visto e previsto»), paiono intenti a coltivare i loro orti, a garantirsi poltrone. Ben altra, in scenari di emergenza, è la loro missione. La funzione bancaria consiste nel favorire l’economia reale, attraverso finanziamenti alla struttura produttiva, ai commerci. Negli ultimi lustri aveva prevalso la speculazione o il sostegno a spericolate iniziative specie in campo edilizio. In una metropoli come Milano, tre quarti dei grattacieli costruiti o in via di edificazione sono vuoti. Gli immobiliaristi hanno l’acqua alla gola, ma il conto finale lo pagheranno le banche che avevano prestato miliardi a occhi chiusi, non a estranee compiacenze politiche. Dalla Bce di Francoforte sulle banche del Vecchio Continente è piovuta una manna di miliardi, al tasso simbolico dell’1 per cento. Le «nostre» ne hanno incamerati più di un centinaio. Purtroppo anziché rilanciare l’economia, sono in larga misura serviti alle stesse banche per riacquistare sul mercato propri titoli di debito (obbligazioni), approfittando dei ribassi. In sostanza, privilegiando interessi particolari rispetto a quelli della collettività che ha urgenza di credito: l’aria che fa respirare produzione e consumi. Quasi non passa giorno che nel susseguirsi di convegni, seminari, tavole rotonde, summit, non si odano alti e paludati richiami all’etica finanziaria. Poche e isolate «voci» rammentano che il denaro se male usato può trasformarsi nello sterco del demonio. Meno brutalmente, nel nemico del bene comune. Auguriamoci dunque un colpo di reni e di coscienza dei banchieri. Sono indispensabili per il progresso umano e civile, a patto che comprendano il loro ruolo: di servizio, anziché di casta autoreferenziale.