Il direttore risponde. A Giuliano Ferrara un saluto da pagina 31
Sergio Seri
Che cosa Avvenire pubblica, e dove, e come, lo decide il direttore di Avvenire, caro Seri. Liberi tutti di giudicare, naturalmente anche i direttori di altri giornali. Persino quelli che «non s’impicciano più di tanto» – come dice di sé Giuliano Ferrara – ma poi lo fanno. E, ieri, il direttore del Foglio non s’è tenuto. Forse perché sa che noi di Avvenire lo stimiamo assai, e siamo convinti (e abbiamo anche scritto) che l’Elefantino straripa – quando straripa – solo per generosità, mai per secondi e cattivi fini. Ferrara nell’amicizia come nell’inimicizia sa infatti essere smisurato. E la dichiarata, totale, inimicizia per Emma Bonino e per i laziali di lei "amichi" lo sta portando a vedere connivenze e timidezze anche dove non ci sono state, non ci sono, né possono esserci. Che cosa è che ha, dunque, impressionato Ferrara? Che un intervento sulla candidatura Bonino a firma di Domenico Delle Foglie – portavoce di Scienza&Vita, direttore di Piùvoce.net e collaboratore nostro e di altri quotidiani – sia uscito in pagina politica, e non in prima pagina; dove altre, a mio giudizio, erano e sono le urgenze del momento. Saremmo per questo – noi di Avvenire e, per sovrappiù, la Chiesa italiana tutta – incerti e poco determinati nel valutare e dire. Ripeto: ognuno giudica, ma chi ci legge sa. Io, per quel che mi riguarda, sul contenuto della battaglia "fogliante" contro il senso politico e ideologico della candidatura (e della deriva) radicale del Pd e del centrosinistra nella regione di Roma nulla ho da eccepire, e figuriamoci... Sullo stile scelto in questo frangente da Ferrara per ridarle clamore, ovvero la critica frontale al giornale d’ispirazione cattolica, anzi al «giornale dei vescovi», qualcosina invece sì. L’ho detto e ripetuto già due volte: liberi tutti e sempre di giudicare quel che una testata mette in pagina. I direttori di giornale dovrebbero, però, sentirsi un po’ meno liberi di provare a dettare sulla propria "prima" temi, tempi, spazi, titoli e addirittura occhielli ai giornali d’altri. Non è una novità in questi vorticosi mesi lo spettacolo di un direttore (o un fondatore) che decide di tracimare, cercando di mettere mani e naso (stavolta solo una indignata proboscide) nelle redazioni idealmente dirimpettaie, sentenziando sugli altrui doveri d’informazione e d’opinione. Nessuna regola proibisce simili irruzioni. Ma io, per mia sensibilità e per i maestri del mestiere che ho avuto, continuo a pensare che certe regole uno se le debba dare. E da dare a Giuliano Ferrara ho solo un saluto amico e niente affatto irato, non certo la linea.Post Scriptum - Spero che il direttore del Foglio, che s’è stupito di trovare il 18 gennaio un intervento (anzi, stando a quel che scrive, addirittura il «diavolo») a pagina 11, non se ne voglia e non ce ne voglia di trovare queste righe a pagina 31. Se guarderà indietro, vedrà che nei giorni precedenti il caso Bonino è stato al centro – oltre che di interviste e cronache e lettere – di un’analisi di Pio Cerocchi pubblicata il 10 gennaio a pagina 10 e di due editoriali di Sergio Soave (il 9) e di Francesco D’Agostino (il 13) pubblicati a pagina 2. Il giornale noi lo facciamo così. Come anche lui (se appena ci pensa). E ogni pagina, ogni riga, conta.