I poveri, prima ancora che attenzione, meritano rispetto. E dunque non si può speculare politicamente sulla loro pelle. Lo scriviamo perché da qualche giorno la questione di una qualche forma di aiuto a chi è privo di mezzi di sostentamento è tornata a fare capolino sulle pagine dei giornali e nelle dichiarazioni dei leader politici. Purtroppo, però, più in virtù di manovre elettorali, di piazzamenti delle diverse correnti, di slogan estemporanei, che non perché si sia finalmente aperto un dibattito serio e franco sulle possibili misure da adottare. Come invece sarebbe necessario e urgente.Gli esempi non mancano. Appena ieri il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha annunciato, un po’ a sorpresa, di voler mettere in campo un non meglio precisato «reddito di cittadinanza» utilizzando 227 milioni di euro del fondo sociale europeo, su 2 miliardi complessivamente destinati a lavoro e formazione. Subito, a parti invertite, si sono levate le critiche della maggioranza – «un errore» lo ha definito il segretario della Lega Matteo Salvini – e il plauso delle opposizioni, con M5S e Pd interessate a collaborare. In realtà, il progetto dell’amministrazione lombarda è tutto da vedere e sembra limitato alla distribuzione di fondi che già l’Europa destina proprio alla lotta alla povertà. Più che altro è stata una «provocazione», come ha ammesso in serata lo stesso Maroni. Certo i primi a "cascarci" sono stati i sindacati regionali, Cgil e Cisl, che hanno levato gli scudi con una forza sinceramente degna di miglior causa: «Prima ci sono i disoccupati, prima gli ammortizzatori da rifinanziare, prima i contratti di solidarietà, prima la cassa in deroga», hanno detto, difendendo anzitutto i lavoratori, spesso proprio coloro che il nostro welfare corporativo già tutela da anni a differenza di chi invece un’occupazione semplicemente non ce l’ha o non ce l’ha più da tempo o è un minore in povertà.Perché il nodo è proprio questo: quello delle priorità. Lo stesso nodo che il presidente del Consiglio dovrebbe affrontare. Non basta infatti dire, come ha fatto ieri il premier, «avevo un tesoretto pronto per alcune cose» (il piano anti-povertà e la flessibilità dell’età pensionabile), ma «me le sono dovute rimangiare» a causa della sentenza sull’indicizzazione delle pensioni. Una questione come l’aiuto ai 6 milioni di cittadini che vivono in povertà assoluta, infatti, non può essere subordinata all’esistenza, più o meno estemporanea, di un avanzo di bilancio. Non può essere sempre relegata alle possibilità: quest’anno ancora niente, vedremo magari nel 2017 o nel 2018, quando l’Europa sollecita l’adozione di misure in tal senso fin dal 1992 (e solo Italia e Grecia ne sono prive).Non può essere messa in fondo alla lista delle cose da fare, magari dopo i bonus fiscali o gli aiuti alle imprese che valgono decine di miliardi. Va invece affrontata con un progetto graduale di lungo periodo, da inserire tra le priorità e intorno al quale, appunto, costruire una proposta economica redistributiva delle risorse pubbliche.È su questo che occorrerebbe un dibattito serio, trasparente e concreto. Sganciato possibilmente dai riposizionamenti tattici della sinistra Pd e da certe velleità dei 5 Stelle. Al Movimento di Grillo va certamente il merito di aver presentato una (organica seppur discutibile) proposta in Parlamento e di tenere alta l’attenzione sul tema, ma dovrebbe chiarire i suoi reali obiettivi: è interessato a ottenere un risultato tangibile per i cittadini in povertà, anche attraverso un eventuale compromesso sul modello di intervento, oppure solo a piantare una bandiera politica, sostenendo che "o si danno 700 euro al mese ai poveri o niente"?Prima dell’estate, prima che si entri nel vivo della stesura della prossima legge di Stabilità, sarebbe allora utile che il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali organizzasse un confronto aperto, una sorta di agile conferenza nazionale su quale modello di contrasto alla povertà si possa (si debba) mettere in campo. Con un’avvertenza iniziale: non parliamo più, per favore, di "Reddito di cittadinanza", una misura rivolta all’intera popolazione, esistente solo in Alaska dove vengono redistribuiti i proventi dell’estrazione del petrolio. Discutiamo piuttosto di "Minimo garantito" o meglio ancora di "Reddito di inclusione", universale ma selettivo, comprendente aiuti monetari, servizi socio-lavorativi e obblighi per il beneficiario. Utilizzare i termini appropriati ed evitare le "provocazioni" inutili sarebbe il primo segno di rispetto verso chi non ha nulla. E che non merita di subire sulla propria pelle, oltre alla miseria, anche i giochetti della politica.