Opinioni

La grande lezione di vita del Tocatì di Verona. Riscoprire il vero gioco. È vincere le azzardopatie

Antonio Maria Mira mercoledì 21 settembre 2016

L’azzardo non è un gioco. Lo abbiamo scritto un’infinità di volte. Non è gioco l’alienante e solitaria ripetitività delle slot. Non è gioco l’ancor più solitaria rincorsa a quotazioni e puntate sul proprio smart. Non è gioco l’illusione del colpo che ti cambia la vita. Il gioco è altro. È stare insieme, è allegria, fantasia, incontro, scoperta di sé e degli altri. Il gioco fa crescere, come aveva capito un grande educatore, Robert Baden Powell, fondatore dello scoutismo che proprio del gioco fece l’asse fondamentale del suo metodo («Tutto col gioco, niente per gioco», diceva). Il gioco è una cosa molto seria. Non è solo una questione lessicale ma di sostanza. «Riprendiamoci le parole che ci hanno rubato» ripete don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Nei giorni scorsi a Verona più di 300mila persone si sono riappropriate della parola “gioco”.

Sono il fiume di persone che ha invaso per quattro giorni la città scaligera in occasione di Tocatì, il Festival internazionale dei giochi di strada, bellissima iniziativa splendidamente organizzata e condotta. Famiglie, tantissime famiglie. I figli a scoprire i giochi dei padri. I padri a riscoprire i propri giochi e a spiegarli ai figli. Giocando, sì proprio giocando, insieme. Padri e figli. Cerbottana, trottola, birilli, dama, burattini, morra, cavalluccio, anelli. In tante versioni e nomi regionali, dalle valli alpine alle coste calabresi. E con la Cina come ospite illustre e ricchissimo di tradizioni ludiche.

Comunque giochi. Non si vince, non si perde. Perché non è questo che conta. Non si parla di soldi. Ci si diverte e tanto. Senza tensioni, senza nevrosi da risultato. Allegria e stare insieme. Anche costruendo il proprio gioco. Divertendosi il doppio. Gioco, appunto. Altro che azzardo! Ma di azzardo si è parlato anche al Tocatì, in un evento molto affollato (centinaia di persone) al quale hanno partecipato giornalisti, esperti e uomini di spettacolo.

Per ribadire che davvero l’azzardo non è un gioco. E per premiare le tre titolari di bar che hanno scelto di rinunciare alle slot (ne abbiamo scritto ieri), ridando vita e allegria ai loro esercizi. Donne che raccontano il dramma di chi perde tutto alle slot, soprattutto le anziane che piangendo quasi implorano di tenere ancora aperto il bar «per poter recuperare» i 200 euro persi, i soldi di una misera pensione. Questo non è un gioco. È altro. È quel cancro che si insinua anche nel gioco più amato dagli italiani, il calcio, come denunciato coraggiosamente dal presidente dell’Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi nel corso dell’interessante dibattito. Una malattia, proprio così la definisce chi è affetto da “azzardopatia”, che rovina persone e famiglie.

Ed è da lì che si deve ripartire. L’antidoto passa attraverso loro e anche attraverso la riscoperta del vero gioco. Quello che in decine di migliaia hanno vissuto in questi giorni a Verona. Gioco batte azzardo. Lo capisca il mondo politico, lo capisca il governo. Non slitti ancora l’accordo coi comuni per dare finalmente alle amministrazioni locali poteri veri e certi di regolamentazione. Per tenere lontano l’azzardo dai luoghi sensibili. Dove spesso si gioca davvero.