31 dicembre. Ringraziare Dio a fine anno e non sprecare più gli auguri
L’importanza di bilanci veritieri e di saper riconoscere il bene Nella tradizione cattolica la sera del 31 dicembre viene cantato il “Te Deum laudamus” (Dio ti lodiamo), l’inno di ringraziamento per eccellenza dell’anno appena trascorso. Non sono ormai tanti purtroppo i cattolici che celebrano questo momento, forse neanche molto invitati o spinti a viverlo nelle comunità, una buona parte distratti dall’organizzazione del cenone o a prepararsi per parteciparvi. Per loro – soprattutto per i praticanti - è quasi un paradosso non ringraziare Dio alla fine dell’anno, considerato che il termine stesso “eucaristia” significa “rendimento di grazie”, ma è più facile inginocchiarsi davanti al “santo Capodanno” e ai suoi riti!
E chi non crede, non pratica una religione, si professa ateo o agnostico non dovrebbe porsi il problema del ringraziamento? Tutto è sempre dovuto, normale che ci venga dato, un diritto acquisito sia che venga dal divino, dalla natura, da altri uomini o donne? Se, giunti alla fine di un anno, ci voltiamo indietro e, pensando a ciò che abbiamo vissuto, siamo pronti solo a lamentarci, davvero non ne vale la pena; eppure, se siamo nelle condizioni di farlo, dunque vivi e vegeti, forse anche un piccolo grazie verso il cielo, la terra, una persona potremmo persino esprimerlo. Del resto, chi ha mai vissuto un anno senza problemi, dolori, lutti, sbagli, cadute? E chi mai senza una gioia, una bella realizzazione, un sospiro di sollievo, una mano tesa d’aiuto, un segno di vita? Certo, posto tutto sui piatti di una bilancia, spesso c’è uno sbilanciamento verso le difficoltà, tuttavia capita anche di non essere abituati o capaci di trovare il bene nella nostra esistenza e in quella di chi ci sta vicino.
Iniziamo un anno pieno di propositi più o meno buoni dimenticandoci di fare un bilancio di com’è andata veramente nei 365 giorni precedenti, facendo cioè un preventivo privo del consuntivo, cosa che sbilancia l’economia della vita. Sugli auguri invece siamo parecchio preparati, almeno per convenzione ne regaliamo e riceviamo a fiumi, non soffermandoci probabilmente sul fatto che ogni augurio è un bell’impegno visto che è un desiderio che qualcosa (di norma bella e positiva) accada per sé e per gli altri. Ora, possibile che alla fine dell’anno nessuno si chieda che fine abbiano fatto tutti questi desideri e auguri?
Ha senso un tale “spreco” di parole per poi non ringraziare almeno per uno? Allora, per riflettere un attimo tra auguri e grazie, sulla nostra piccolezza e sulla grandezza che ci abbraccia, ci lasciamo ispirare da una poesia di Erri De Luca dal titolo “Prontuario per il brindisi di capodanno”:
Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,cucina, albergo, radio, fonderia, in mare, su un aereo, in autostrada,a chi scavalca questa notte senza un saluto, bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta, a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta, a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando, a chi non è invitato in nessun posto, allo straniero che impara l’italiano, a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango, a chi si è alzato per cedere il posto, a chi non si può alzare, a chi arrossisce, a chi legge Dickens, a chi piange al cinema, a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio, a chi ha perduto tutto e ricomincia, all’astemio che fa uno sforzo di condivisione, a chi è nessuno per la persona amata, a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe, a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia, a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo, a chi restituisce da quello che ha avuto, a chi non capisce le barzellette, all’ultimo insulto che sia l’ultimo, ai pareggi, alle ics della schedina, a chi fa un passo avanti e così disfa la riga, a chi vuol farlo e poi non ce la fa, infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera/ e tra questi non ha trovato il suo.