La nomina di Vasco Errani a commissario unico per la ricostruzione delle aree terremotate del Centro Lazio costituisce di per sé un ottimo segnale. L’individuazione di una figura specifica per l’opera di ricostruzione che va ad affiancare il capo della Protezione Civile lascia intendere che si vuol procedere diversamente dall’Aquila, tenendo ben distinti i due piani: niente case definitive gentilmente donate, ma costruite a 10 chilometri, bensì
casette provvisorie dignitose in legno, che potranno agevolmente essere rimosse quando la ricostruzione verrà ultimata. Nessun taglio di nastro eclatante nella fase dell’emotività mediatica, con la speranza di registrare negli anni, a riflettori ormai spenti, uno scaglionato rientro di ciascuno nelle proprie abitazioni. Bene così, purché ci si renda conta del sentiero impervio in cui ci si è incamminati e si abbia voglia di percorrerlo per intero. Non serve dire «ricostruiremo dov’era e com’era» se non ci si rende conto quanto questo sia dispendioso e complicato. A costo di dire una banalità, c’è infatti da progettare case con tecniche costruttive all’avanguardia, che conservino all’esterno lo
skyline (altezza e configurazione degli edifici) con l’individuazione di vincoli estetici (per facciate e portali) che la Sovrintendenza alle Antichità, di concerto con le istituzioni locali, andrà a individuare. Operazione non facile. Si tratta di conservare (come la Sovrintendenza sta già facendo) materiali e strutture di pregio finiti fra le macerie, ci sarà da acquisire foto, progetti e documentazione di quel che era e ci sarà poi da dotarsi di strumenti urbanistici idonei ancor prima di ricollocare una sola pietra. Ma c’è un aspetto ulteriore – specifico di questo sisma – che potrebbe decretare alla fine la vittoria o meno della scommessa:
la presenza di proprietari di seconde case in misura del 70-75% ad Amatrice come ad Arquata del Tronto, ad Accumoli come a Norcia. Se, a fronte di un interesse meno stringente di questi proprietari non residenti, si aggiungesse per loro una contribuzione ridotta da parte dello Stato, è già facile pronosticare che al progetto di realizzare la ricostruzione tal quale potrebbe venir meno la metà degli interlocutori. Che fare, allora? Con buona dose di realismo Errani ha chiesto 34 settimane per rendersi conto di persona della situazione e poter così proporre un decreto di ricostruzione adeguato alle esigenze. Perché – altro aspetto cruciale una volta che il governo ha scelto, correttamente, di puntare sugli enti locali –
ora serve una legge. Legge che è mancata nel terremoto dell’Aquila, andando avanti per anni con la decretazione d’urgenza e le ordinanze di protezione civile, con la conseguenza di ritrovarsi ben presto cittadini e amministratori a Roma con cartelli e megafoni a reclamare – dopo i giorni della solidarietà – un briciolo di attenzione. Si parla tanto del Friuli. La rivista
Formiche ha pubblicato un articolo in cui rievoca chi fu il 'padre' della scelta, 40 anni fa, di puntare tutto sulla Regione e sui Comuni, a partire da Gemona. Una scelta che reca impresso il marchio di fabbrica di uno statista, l’allora presidente del Consiglio Aldo Moro. Ma per non fallire, anche stavolta
occorre una visione. Occorre decidere sin da ora – d’intesa con gli enti locali, proprio come fece Moro – se si vuol ricostruire i paesi così com’erano o ridimensionare le attese, mettendo in conto il venir meno di una quota di proprietari dal concorso alle spese. Amatrice, per dare un’idea, è un centro da 10mila abitanti quanto ad abitazioni, ma di 2.500 residenti, scesi ora a circa 2.300 per il triste bilancio dei decessi. E se il Friuli deve fare scuola, non deve mancare il coraggio di prevedere nella legge un
potere di intervento della mano pubblica, come previsto allora, a sostegno dell’iniziativa privata che, troppo parcellizzata o poco incentivata, potrebbe far registrare ritardi di cui pagherebbero un po’ tutti. In altre parole, se si ritiene la ricostruzione di questi paesi un interesse privato ma di rilevanza pubblica, in capo al proprietario oltre a un diritto va individuato anche un dovere civico da adempiere, fatto salvo un diritto di recesso eventuale da comunicare per tempo. E la proposta dell’Anci, di rispolverare le cosiddette Stu (società di trasformazione urbana) è un’idea seria da prendere in considerazione per favorire una pianificazione coordinata fra istituzioni, consorzi di imprese e associazioni di proprietari che, rafforzandoli senza esautorarli, affianchi questi piccoli Comuni nel portare in porto un’impresa che potrebbe rivelarsi troppo pesante per le loro forze.