La fiamma della candela è il simbolo universale della fragilità umana, della vita esposta alle incognite del giorno. Ma è anche, e non a caso, una delle icone più eloquenti dello spirito di Pasqua, luce che spezza il buio e illumina la rinascita dello spirito. Nessun "logo" poteva quindi risultare più degno della Giornata di preghiera e digiuno che la
Masihi Foundation ha proclamato per oggi in favore di Asia Bibi, 40 anni, pakistana, sposa e madre di tre figli, la donna cristiana sulla quale pende dal novembre 2010 una condanna capitale per blasfemia. Accendere una candela e dire una preghiera speciale per la sorella minacciata di morte è la missione speciale per oggi di ogni cristiano del mondo.La
Masihi Foundation è una fondazione dei cristiani del Pakistan che interviene presso le comunità più povere per alleviare i bisogni, promuovere i diritti civili e difendere le minoranze. È anche l’organismo che sostiene le spese legali della famiglia di Asia Bibi, di modestissime possibilità. Solo chi conosce molto bene il Paese aveva già sentito nominare la Fondazione, eppure il suo appello si è diffuso con la velocità del lampo. Tutte le diocesi cattoliche, non solo quelle del Pakistan, hanno aderito all’iniziativa e oggi il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, pregherà per Asia Bibi e per le vittime della legge sulla blasfemia (che dal 1986 al 2010 ha provocato, oltre a centinaia di processi e condanne al carcere, anche 43 casi di uccisioni extragiudiziali) durante una messa celebrata nella cappella del Parlamento italiano.Una mobilitazione, si può dirlo dalle colonne del giornale che da mesi tiene alta l’attenzione su Asia Bibi, che dimostra due cose. La prima è questa: con la propria sofferenza, non da tutti patrocinata con la dovuta energia, questa giovane donna ha contribuito a far luce sul carico di discriminazioni e persecuzioni che i cristiani devono quotidianamente affrontare non solo in Pakistan ma in almeno altri 60 Paesi. La comunità cristiana mondiale non ha dimenticato Asia Bibi, al contrario: la sostiene con la pressione dell’opinione pubblica e con lo strumento della preghiera, dello spirito in azione. Il modo più efficace per esprimere non una politica (che occorre, e andrebbe anzi intensificata) e non solo una solidarietà (doverosa e necessaria), ma piuttosto una perfetta identificazione nel Signore, la forma suprema della fratellanza.In questo modo, inoltre, i cristiani di tutto il mondo mostrano ancora una volta il loro sguardo limpido e costruttivo verso le nazioni e le società in cui si trovano a essere minoranza, spesso minoranza offesa. La battaglia per la vita di Asia Bibi è una battaglia di civiltà a favore di tutto il popolo del Pakistan, come avvertono i politici più attenti di quello stesso Paese. Lo sanno il presidente al-Zardari e il premier Raza Gilani, ma lo sapevano Salman Taseer, governatore del Punjab assassinato per la sua sensibilità al caso, e Shabhaz Bhatti, ministro per le Minoranze trucidato da una commando di integralisti islamici. Lo stesso sguardo che ha improntato la giornata di preghiera che la Conferenza episcopale italiana, raccogliendo una preoccupazione di Benedetto XVI, ha dedicato nella prima domenica di Quaresima alle vittime delle tensioni nei Paesi del Medio Oriente, implorando «riconciliazione, giustizia e pace» per tutti i popoli della regione.C’è tutto questo sul volto di Asia Bibi. L’angoscia e la speranza, il dolore presente e la consolazione di una prospettiva aperta agli altri e sul futuro. Adottare Asia Bibi significa credere che riconciliazione, giustizia e pace possono essere non solo attese ma anche costruite.