L’Europa come «patria» e come lavoro comune. Riconoscere l'anima, irrigare la terra
Si parla e straparla d’Europa, sotto i colpi della storia, dei cambiamenti. Sotto i colpi di una crisi che forse nei dati degli economisti dell’Eurozona segna qualche punto positivo, ma nella vita reale, in questa nostra Italia, morde ancora forte. Si parla e straparla d’Europa cercando di indovinare le mosse di almeno due superpotenze a Ovest e a Est. E vedendo salire una marea di disperazione, di fame e di potere da Meridione e da Oriente. Si cerca di capire se ci sono ancora ragioni di esistenza di un’Unione e come far diventare queste ragioni azione politica e sociale. Alle tante voci autorevoli, forse è permesso che si aggiunga quella apparentemente laterale e impercettibile della poesia. Che di solito viene considerata oscura e “inutile”.
Sarà, ma non mi pare che dalle voci dell’economia si riesca a dare una luce. Perché, diciamolo subito, se esiterà l’Europa politica non sarà grazie a una legge sui bilanci, e nemmeno grazie a qualche robusto aggiustamento di conti. L’8 febbraio, su queste colonne, il direttore Tarquinio concludeva la sua risposta alla lettera di un lettore smarrito e preoccupato sul destino d’Europa con un richiamo al fatto che la patria (ovvero una terra a cui senti di appartenere) esiste se esiste una sua anima. E allora mentre molti dirigono il loro impegno e il loro interesse (a volte limpido a volte meno) sullo stato di salute di banche e bilanci, noi guardiamo all’anima. E occorre anche qui essere chiari: per molti attuali maestri del pensiero e della cultura europea l’anima nemmeno esiste, e non esistono altre dimensioni se non quelle dello scambio, della biologia e del potere. E in questo sta già un primo grave problema. Forse non è un caso che le forze e le terre che oggi appaiono più forti e propulsive nel mondo sono quelle che non hanno rinunciato ad appellarsi (anche attraverso le banali strumentalizzazioni di cui il potere è ovunque capace) all’anima del proprio popolo e della propria identità. Vale a Oriente come a Occidente di questa terra un po’ alla deriva chiamata Europa. Il compianto Giovanni Paolo II quando auspicava inascoltato un’Europa «dall’Atlantico agli Urali» e dunque inclusiva della grande tradizione spirituale russa liberata dal cieco impero materialista, non indicava i confini politici o economici di una “unione” ma l’estensione, per quanto varia e storicamente complessa, di una unica “anima”. E per stare alla voce dei poeti, quando il precristiano Virgilio nelle Georgiche indica la peculiarità della Italia e della Europa romana la definisce per differenza rispetto alle terre dove da «denti di drago nascono guerrieri» e dove la ferocia di ragioni ottenebrate rivolta le madri contro i figli. La poesia serve anche a non perdere la memoria di quel che siamo stati, per adombrare quel che possiamo essere. E di certo l’Europa non può essere un luogo senza un’anima frutto della laboriosa tradizione antica greco e romana di illuminare la natura e la dignità umana e poi della stupefacente rivoluzione cristiana.
Un’Europa come abbiamo visto troppo spesso vagheggiata e disegnata dalle leadership come luogo “neutro”, dove tutto è uguale al suo contrario e dove nessuna lettura antropologica positiva guida gli intenti, è condannata a essere una piccola preda da sbranare o un corpo decrepito, in rapida decomposizione. Se l’unico cosiddetto motivo per mobilitare i cittadini europei è la pura “libertà di espressione” o la paura e il risentimento (due facce della stessa medaglia) significa che l’anima è inaridita o tenuta in stato di narcosi. Non sarà un’anima addormentata ad aver la forza per definire nuove e migliori strategie di sussistenza e di coesione sociale. I fattori esterni – i cambi di politica di potenze straniere, i movimenti migratori, le fluttuazioni finanziarie – non sono i fattori più importanti di una crisi come quella attraversata ora dall’organismo politico chiamato Unione Europea. Prima, e a lungo, e ancora in corso, è intervenuta una continua irrisione e negazione della nostra anima a opera di banalissimi maestri del pensiero, vezzeggiati dai media e dalla accademie e ascoltati dai parlamenti. Ma come sapeva il poeta Eliot non si può pretendere di continuare a gustare i frutti dopo aver segato il ramo. L’albero chiamato Europa esisterà – nessuno sa bene in che forma – se comunque la sua terra sarà irrigata in modo diverso.