Il G20 di Bali visto da Oriente. Ricominciare la tessitura
Alla fine è stato Joe Biden a cedere. Lo “storico” vertice con il presidente cinese Xi Jinping, il primo da quando i due leader sono entrambi a capo dei rispettivi Paesi, ha rischiato fino all’ultimo di saltare per una questione di protocollo. I cinesi volevano che fosse Biden a recarsi nell’albergo dove soggiorna Xi, gli americani insistevano affinché si svolgesse in territorio “neutro”, in una delle sale del G20. Alla fine pare sia stato proprio Biden – su suggerimento del suo consigliere speciale per l’Asia, Kurt Campbell, a sbloccare la situazione: i cinesi hanno ragione, Xi Jinping è al potere da più tempo, è giusto che sia Biden ad andare da lui, e non viceversa. Sembra un dettaglio, ma non lo è. È uno dei segnali di “rispetto” che Pechino da tempo chiedeva agli Stati Uniti, accusati di non voler riconoscere la “lunga marcia” della Cina ed il suo oramai acquisito status di grande potenza.
La lunga e intensa stretta di mano che i due leader si sono scambiati, seguita da oltre tre ore di colloqui che nonostante non abbiano prodotto un comunicato congiunto sono stati definiti da entrambe le parti «franchi e costruttivi» ha decisamente rasserenato una situazione che fino a qualche giorno fa era stata più volte definita «pericolosa e confusa». Cina e Usa – ed è la buona notizia con cui si chiude il G-20 – tornano a parlarsi, ad assumersi pubblicamente le loro responsabilità, a collaborare per la soluzione delle grandi questioni che preoccupano e agitano il pianeta. Su alcune – ambiente, crisi alimentare, rinuncia all’uso (e alla minaccia) delle armi nucleari – c’è già aperta sintonia, su altre – leggi guerra in Ucraina e diritti umani, dei quali non sembra si sia parlato quanto si sarebbe dovuto – c’è da lavorare.
Le posizioni sono ancora lontane. Ma il fatto che la Cina abbia comunque firmato il documento finale in cui si condanna l’aggressione russa, accontentandosi di registrare la presenza di “opinioni diverse” (e non è l’unica, all’interno del G-20) significa che davvero qualcosa è cambiato. E sono in molti, anche all’interno dell’amministrazione Usa, a pensare che il modo migliore per convincere Pechino a premere su Putin non sia quello sinora utilizzato ( o con la Russia o contro la Russia) bensì quello di aspettare che sia la Cina a muoversi per tutelare i propri interessi.
Perché la Cina, ora che è diventata una superpotenza, vuol stare con la Cina: né con la Russia, né con l’America. Nel frattempo, il “disgelo” – quanto meno formale – con gli Usa ha provocato un effetto domino: altri leader presenti a Bali, che sino alla vigilia del G-20 erano timorosi di avvicinarsi a Xi per non urtare Washington, si sono affrettati a confermare i rispettivi bilaterali con il presidente cinese, o a cercare di organizzarli all’ultimo minuto. Come il premier australiano Anthony Albanese, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e il premier giapponese Kishida, che però dovrà aspettare fino a venerdì, a Bangkok, in occasione dell’Apec, il vertice dei Paesi del Pacifico, per avere udienza. Decisamente soddisfatta del faccia a faccia (e di ulteriori collaborazioni commerciali annunciate con Pechino) la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni.
Molto meno Rishi Sunak, neopremier britannico: quell’incontro è stato prima confermato, poi cancellato all’ultimo momento dai cinesi. Le sue ultime, bellicose dichiarazioni prima di partire da Londra, in cui minacciava di chiudere tutti gli Istituti Confucio operanti nel Regno Unito (una settantina) potrebbero aver pesato. Nel corso di tutti gli incontri avuti con gli altri leader, il presidente cinese, il cui mandato è stato appena rinnovato per almeno 5 anni, ha mostrato grande pacatezza e sicurezza, smettendo i panni della cosiddetta wolf warrior diplomacy (la diplomazia “aggressiva”) e cercando di rilanciare dialogo e collaborazione.
Al sudcoreano Yoon Suk-yeol, che negli ultimi giorni ha lanciato un’ambiziosa proposta al regime del Nord, offrendo aiuti economici senza precedenti in cambio di un impegno concreto e verificabile per l’abbandono del programma nucleare, ha promesso l’appoggio di Pechino. Sempre che il nord sia d’accordo, ha tuttavia aggiunto, confermando i dubbi di Biden sul fatto che la Cina sia davvero in grado di incidere sulle decisioni di Pyongyang. Ora resta da vedere se alle parole seguiranno i fatti.