Opinioni

Il ricordo. Riccardo Bonacina, un’eredità che supera i confini del non profit

Massimo Calvi giovedì 12 dicembre 2024

Le parole più ricorrenti nei pensieri che tante persone in queste ore stanno esprimendo nel ricordare Riccardo Bonacina, giornalista, morto all’età di 70 anni questo mercoledì 11 dicembre 2024, sono due: passione e impegno.

Chiunque lo abbia conosciuto, anche per poco, anche da lontano, può facilmente ritrovarsi in questi termini, che curiosamente paiono l’eco di un tempo diverso, appartenere a un contesto che nell’estremo saluto può persino delineare un’eredità.
Bonacina è stato tante cose, il suo curriculum di giornalista dice che all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso è stato tra i protagonisti del primo telegiornale delle reti Fininvest, “Studio Aperto”, poi ideatore della testata giornalistica su Rai2 “Il coraggio di vivere”, soprattutto fondatore di un periodico che ha fatto la storia del giornalismo sociale in Italia: “Vita”. Poi, certo, molto altro: trasmissioni radiofoniche, progetti editoriali, eventi, elaborazione culturale, impegno civile e sociale, dunque politico.
“Vita” – all’inizio settimanale, oggi mensile e sito internet - è stata però la creatura capace di definirne la figura di padre e, a discendere, di maestro.

Era il 1994, esattamente trenta anni fa, quello che tutti avevano sempre e solo definito “volontariato” o “mondo del bene”, stava conoscendo una trasformazione radicale, tra evoluzione culturale e novità normative: nasceva il Terzo settore, l’economia Non profit, prendeva forma e coscienza, convergendo, un aggregato di associazioni, cooperative e nuove imprese sociali, fondazioni, donne e uomini uniti dall’impegno e dal desiderio di far esprimere al massimo le migliori energie, con l’ambizione di essere interlocutore e parte sociale, e dove il valore dell’interesse si declinava principalmente nell’attenzione per gli altri. Alle aspirazioni serviva un racconto, e di quel racconto Bonacina è stato il protagonista indiscusso.

C’eravamo anche noi, ovviamente, c’era “Avvenire”, presenza ampia, autorevole, costante, ma era difficile prescindere da Riccardo Bonacina, impossibile non domandare consigli, suggerimenti, confronti. Il Terzo settore italiano ha trovato in quegli anni la giusta narrazione per spiccare il volo, definirsi, nessun dubbio sul ruolo di chi è stato guida, riuscendo ad esserlo anche da lontano, persino nell’inconsapevolezza del ruolo. Come a pochi riesce.

Per ricordare una persona le parole giuste sono quelle più intime, dei veri vicini e compagni di viaggio. E qui il registro cambia, si fa meno istituzionale. Passione e impegno lasciano il campo ad altro, molto di più. Uomo di fede, non conosceva confini, dialogava con tutti, intellettualmente onesto.

Amava Péguy, dicono, e poteva essere altrimenti? È stato padre, non solo dei suoi figli, non solo del giornalismo sociale. Un padre spinge i figli nel mondo, non è nel controllo la sua autorevolezza, ma nella fiducia, e sprona a non accontentarsi della superficie, mai, incoraggia a cercare la storia, e a scriverla.

Un dono, un altro passo, di un altro tempo. Nel ricordo, la voce si rompe: «Di quelle persone che pensi non muoiano mai». Ecco.

Riccardo Bonacina - Fotogramma