Se un lancio d'agenzia da Bruxelles dice che oltre quattro milioni di europei assumono abitualmente cocaina, e 23 milioni fumano cannabis, si può anche dire che lo sappiamo, e che i dati dell'Osservatorio europeo su droga e tossicodipendenze non ci svelano nulla di inedito. L'Italia, poi, è in testa alle classifiche: consuma coca il 3,2% dei giovani sotto i 34 anni, e fuma più o meno abitualmente cannabis l'11% della popolazione. Sapevamo anche questo, potremmo rispondere, già nel 2005 una relazione al Parlamento italiano diceva che dal 2001 a quell'anno il numero dei consumatori di cannabis era quasi raddoppiato, passando a tre milioni e 800 mila persone. Certo, consumatori per lo più del sabato sera, gente che si fa nel giorno di festa, e il lunedì va al lavoro. E dunque niente di nuovo. Giornalisticamente parlando, i severi dati di Bruxelles paiono quasi una non-notizia. Ma, proviamo a guardare alla questione da una prospettiva storica. Immaginiamo che agli europei usciti dalla guerra mondiale qualcuno avesse pronosticato: milioni di vostri nipoti faranno uso di droghe. Alle popolazioni che piene di speranza ricostruivano le nostre città distrutte sarebbe parsa una folle profezia. Oppure, ipotizziamo che fra due secoli un libro di storia parli dell'Europa del 2000: la fame dimenticata, i redditi mai raggiunti in precedenza, e, fra l'altro, quella cifra dell'Oedt da Bruxelles, novembre 2008: milioni di giovani consumatori di stupefacenti. Si chiederebbe, uno scolaro di secoli venturi, ciò che quasi noi non ci chiediamo più: perché in un Occidente mai come prima benestante, la droga, da trasgressione di pochi, si faceva nel Duemila fenomeno giovanile di massa. Perché? Non lo sanno i ragazzi delle discoteche, e alzano le spalle a dire: e perché invece no? («Al sabato, ci si deve divertire»). Il beneducato sballo che il lunedì mattina si nasconde sotto giacca e cravatta è tacitamente considerato normale. Ma il fatto è che con stimolanti, oppure con oppiacei che addolciscono gli spigoli dell'ansia, comunque in milioni scelgono, quando possono, di sfuggire alla quotidianità. Un marketing sapiente ha abbassato i prezzi: l'importante è incentivare i giovani consumatori. Così al sabato si vive, finalmente: e vivere per non pochi significa alterare la percezione della realtà. Come se ciò che si vede da lucidi, da sobri, fosse troppo noioso, prevedibile, triste. Come ribelli a una insostenibile pesantezza dell'essere. Che cosa è successo a una generazione che consente, che trova quasi normale questa evasione? È forse un problema, prima di tutto, di sguardo. Niente più nella memoria della gratitudine per la pace, e il pane, che avevano ancora addosso i nostri genitori. Tutto è scontato. Né traccia dello stupore di fronte a ciò che Hannah Arendt chiamava «la realtà del dato». Credono di sapere, di aver già visto tutto, e di poter possedere ogni cosa; noi, glielo abbiamo insegnato. Ma senza lo stupore, senza lo «thauma» di fronte al creato, la realtà si fa angusta. Più niente da cercare, e nessun segno da decifrare. (Il mondo, disse san Bernardo, è una foresta di simboli). Ciò che hai davanti è opaco, e non lascia spazio ad alcuna attesa o speranza. Allora a sedici anni " quando ancora si pretende di essere felici " in tanti scelgono per un sabato almeno di alterare quella prospettiva appiattita. Roba, pastiglie, alcol, per sottrarsi per una notte al cielo ristretto e vuoto ereditato dai padri. Così forse scriveranno di noi, un giorno nei libri di scuola, al capitolo sul Terzo Millennio.