L’era digitale, la Chiesa, la sinodalità. Riannodare la grande rete
Otto anni fa, nella sua esortazione apostolica 'programmatica' Evangelii gaudium, il Papa aveva indicato quattro princìpi, apparsi magari un po’ misteriosi: il tempo è superiore allo spazio; la realtà è più importante dell’idea; l’unità supera il conflitto; il tutto è più della parte. In realtà, quei quattro princìpi – che hanno importanti riferimenti filosofici – sono una vera rivoluzione epistemologica, esistenziale e sociale. Se benintesi e utilizzati come stimolo a pensare in modo nuovo, essi possono aiutare la Chiesa a combattere le proprie sclerosi, facendo emergere tutta la sua vitalità. E, soprattutto in Europa, possono contribuire a trovare la via di un futuro possibile, che passa dalla capacità di ricucire la distanza tra le élite e il popolo, tra l’esperienza quotidiana delle persone concrete e le esigenze, a volte tiranniche, dei grandi sistemi tecnici nei quali viviamo.
È dentro questa cornice che si deve leggere l’insistenza di Francesco sulla sinodalità, che è culminata con l’annuncio di qualche giorno fa del percorso del Sinodo della Chiesa universale che si concluderà nel 2023 (e che s’intreccerà con quello del Sinodo della Chiesa che è in Italia).
Chiedere a ogni parrocchia, a ogni diocesi, a ogni Conferenza episcopale di mettersi in ascolto (vero) della realtà per ripartire non è un formalismo. È il modo attraverso cui la Chiesa – come qualunque altra istituzione contemporanea – può ringiovanirsi, ritrovando quell’energia che qualche volta sembra mancare. Proprio perché non è un formalismo – la realtà viene prima dell’idea – tale iniziativa apre un percorso di cui non si possono sapere gli esiti in anticipo – il tempo è più importante dello spazio. Perché lo stare insieme (per la Chiesa condividere la stessa fede) non può essere qualcosa di statico, messo sotto controllo, in sicurezza, ma un cammino vivo, dialogico, capace sempre di rinnovarsi a partire dall’umanità che c’è tra noi.
Un processo che non esplode a condizione di non smarrire il senso di un’appartenenza comune, di un legame che viene prima di ogni protagonismo (l’unità è più importante del conflitto), ed è capace di legare insieme quel meraviglioso poliedro fatto di tanti particolari-universali (il tutto supera la parte). In questo modo Francesco manda due messaggi potenti.
Il primo messaggio è alla Chiesa: è giunto il momento di recuperare pienamente la propria immagine originaria. Quella che le vicende storiche seguite alla Riforma protestante hanno modificato. La Chiesa cattolica è stata, fin dall’inizio, una rete di realtà locali (parrocchie e diocesi) legate a un messaggio universale.
Una rete di comunità, concretissime e umanissime, in continua tensione tra la particolarità di un luogo, di una storia, di un contesto relazionale e l’universalità del messaggio che ciascuno ha cercato di rendere vita. Ancora oggi, la Chiesa universale è una rete globale straordinariamente ricca, radicata nella concretezza del locale. Una rete glocal, come in molte occasioni è stato ricordato e mostrato anche sulle pagine di questo giornale, che oggi ha la possibilità di vivere una nuova straordinaria stagione: per la prima volta nella storia, essa ha infatti a disposizione un ambiente tecnologico (quello digitale) che si adatta perfettamente alla sua natura reticolare. E grazie al suo essere radicata in tutto il globo – qualcosa che fa invidia a qualsiasi multinazionale o Stato nazionale – la Chiesa può sperimentare un modo nuovo e straordinariamente moderno di camminare insieme nella pluralità e insieme nella unità.
Il secondo messaggio si rivolge invece alla società contemporanea, alla ricerca di nuovi punti di equilibrio che permettano di assorbire le forti tensioni che la attraversano. A cominciare dalla distanza che si è andata formando tra le élites sempre più ricche e potenti, da una parte, e tanta parte delle persone comuni, intrappolate in una condizione di strutturale insicurezza. Terreno ideale per il moltiplicarsi delle disuguaglianze e la nascita dei populismi.
La Chiesa di Francesco non ha le soluzioni a tali questioni. Né tantomeno pretende di sovrapporre il proprio linguaggio, i propri canoni, la propria identità alla società nel suo insieme, come vorrebbero coloro che riducono la religione a un mondo chiuso. Piuttosto, essa suggerisce la cosa più semplice e insieme più difficile: il rinnovamento delle forme della vita sociale e istituzionale passa dall’ascolto e dal dialogo con la realtà. In tutte le sue componenti: a cominciare da quelle più fragili e marginali. Non sarà facile muoversi nella direzione indicata dal Papa. Ci vorrà tempo e lucidità, ci vorrà buona fede. Ma come sempre, l’importante è alzarsi e cominciare a camminare.