Alla scuola dei santi / 2. Religioni unite dall'amore l'abbraccio nella differenza
Nel corso del viaggio in Egitto del 28 aprile del 2017, parlando alla prestigiosa università di Al-Azhar al Cairo, dichiarava papa Francesco: «Nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture». Davvero uno stile nuovo anticipato da alcuni santi e testimoni che hanno saputo far prevalere la carità su precedenti atteggiamenti di astio e di rivalità.
Restando in Egitto gli incontri di pace ebbero un prologo nel 1219 quando san Francesco si presentò al sultano Al Kamil con sentimenti di amore universale. In tempi più vicini a noi è stato il beato Charles de Foucauld (1858-1916) a farsi interprete di un atteggiamento di rispetto e di simpatia verso la religione islamica. Rimasto presto orfano, venne cresciuto da un nonno colonnello dell’esercito, che lo avviò a sua volta alla carriera militare. Negli anni giovanili, tuttavia, condusse una vita di ozio e trasgressioni fino a farsi espellere dall’esercito. Compì allora alcuni viaggi di esplorazione in Marocco che gli valsero degli importanti riconoscimenti in campo geografico. Nel frattempo, qualcosa in lui stava cambiando. Riaffioravano i suoi ricordi d’infanzia, insieme a quelli dei musulmani in preghiera. Riferì in una lettera all’amico Henri de Castries: «Non appena ho creduto che ci fosse un Dio, ho capito che non potevo vivere che per lui: la mia vocazione religiosa è nata nel momento stesso in cui nasceva la mia fede: Dio è grande...». Entrò allora nella trappa di Nostra Signora delle nevi ed emise i voti monastici. Partì poi per la Terra Santa dove cercò di imitare la vita povera degli anni nascosti di Gesù. Chiese poi di diventare sacerdote per potersi recare ai margini del deserto del Sahara, nell’oasi di Béni-Abbes e celebrare in solitudine il sacrificio della salvezza per elevare l’Ostia nel deserto, adorare il Signore che in essa è nascosto e, così, portarlo al prossimo. Venne ucciso il 1° dicembre del 1916 da un gruppo di tuareg in rivolta. I l secolo XX porta su di sé l’onta dell’eccidio degli ebrei.
Nel buio di questa assurda vicenda emergono le figure di alcuni testimoni del Vangelo che prestarono aiuto e levarono la loro voce di protesta anche a costo della vita. In questo contesto di dialogo ecumenico ed interreligioso merita di essere ricordata la figura della santa ortodossa, mat’ Marija Skobcova. Nata in Russia da nobile famiglia nel 1891, Elizaveta Pilenko visse da vicino la fine della dinastia degli zar, gli anni duri della rivoluzione sovietica, la fuga dalla madre patria e l’approdo a Parigi. Due volte sposata, ebbe tre figli, ma all’istituto di teologia ortodossa di San Sergio incontrò personalità straordinarie. E allora matura una nuova vocazione, quella di diventare monaca in mezzo al mondo.
È una situazione eccezionale anche per la Chiesa ortodossa, ma il metropolita Evlogij, grande personalità del cristianesimo russo dell’emigrazione, accoglie questo suo desiderio. Le dice al momento della tonsura monastica: «Vi è più amore, più umiltà e necessità nel rimanere nelle retrovie del mondo, respirandone l’aria viziata». Dal canto suo madre Maria, soprattutto dopo la morte delle due figlie naturali, vuole diventare una madre universale. Dapprima si dedica a raccogliere i più poveri tra i migranti russi poi estende la sua azione agli ebrei perseguitati. In particolare, nel luglio del 1942, si reca al Velodromo d’inverno dove sono raccolti i bambini ebrei destinati al campo di concentramento. Con la sua prontezza di spirito riesce a farne fuggire un certo numero, ma firma così la sua condanna. Gli è vicino l’unico figlio rimasto in vita, Jura, che viene arrestato e deportato prima ancora della madre. Arrestata a sua volta, madre Maria viene deportata nel campo di Ravensbrück dove muore il 31 gennaio 1945. Giusta delle nazioni, è stata canonizzata insieme con il figlio il 6 gennaio del 2004, divenendo così esempio straordinario dell’ecumenismo cristiano e del dialogo tra le religioni.
Recandosi in pellegrinaggio alla tomba di don Lorenzo Milani, papa Francesco parlò delle «figure più alte del cattolicesimo fiorentino... sotto il paterno ministero del cardinale Elia Dalla Costa » che lui stesso il mese precedente aveva dichiarato venerabile. Nato nel 1872 in provincia di Vicenza, il cardinale Dalla Costa univa una profonda pietà personale a una spiccata sensibilità pastorale. Vescovo di Padova dal 1923 al 1931, venne successivamente nominato cardinale di Firenze dove rimase fino al 1961. Nel capoluogo toscano si segnalò presto per la cura nelle visite pastorali e nell’attenzione per la vita spirituale dei sacerdoti cui raccomandava povertà, pazienza, umiltà e obbedienza. Nel 1938 pubblicò una famosa nota pastorale in cui prendeva le distanze dalle leggi razziali contro gli ebrei. Successivamente favorì l’aiuto concreto a favore degli ebrei. Per questa sua opera Dalla Costa è stato riconosciuto come giusto delle nazioni. Amico del patriarca Roncalli, ne favorì l’elezione a pontefice e ne sostenne l’iniziativa conciliare. Trascorse gli ultimi anni della vita nel silenzio e nella preghiera, nell’amore sempre più vivo per Gesù.
Ritornando al dialogo con l’islam, è diventata famosa la testimonianza dei monaci trappisti di Tibhirine sulla costa atlantica dell’Algeria. Guidati dal priore padre Christian de Chergé, i monaci conducevano una vita di preghiera e insieme di testimonianza cristiana in un Paese islamico. I rapporti con gli abitanti del luogo a lungo pacifici e rispettosi divennero improvvisamente tesi in seguito alla guerra civile che sconvolse l’Algeria. I monaci trappisti sapevano di essere in pericolo, decisero tuttavia di restare nel Paese che li aveva accolti per solidarietà con le tante vittime innocenti della violenza. Scrisse il padre de Chergé in quello che viene considerato il testamento dei trappisti di Tibhirine: «Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo Paese... Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato». Come aveva previsto padre Christian, 7 monaci, tra cui lo stesso priore, vennero presi in ostaggio nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996. I loro corpi martoriati vennero ritrovati dopo circa due mesi. La morte dei monaci di Tibhirine suscitò molto scalpore in Occidente. Il regista Xavier Beauvois ricostruì la loro vicenda nel film Uomini di Dio, vincitore del premio speciale della critica al festival di Cannes del 2012. È importante tuttavia sottolineare che i monaci erano ben lontani dal cercare la notorietà e soprattutto non desideravano suscitare sentimenti contrari all’islam. Volevano, invece, evidenziare gli elementi che possono favorire un incontro di fraternità tra le religioni.
Spostandoci verso l’Oriente, Shahbaz Bhatti (1968 2011) era ministro per le Minoranze religiose in Pakistan. Noto per il suo impegno a favore delle minoranze religiose nel suo Paese, si definiva un uomo che aveva distrutto le sue navi, che non poteva dunque recedere dal suo impegno. Aveva scritto in un testo di autopresentazione: «Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita...». L’auspicio di Bhatti venne accolto nel mistero della volontà di Dio ed egli venne ucciso il 2 marzo del 2011. Aveva scritto ancora: «Credo che i cristiani del mondo che hanno teso una mano agli islamici in occasione del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno, sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione».
Da sapere
Dai piccoli fratelli di Gesù allo spirito dei martiri d’Algeria
La prima biografia di Charles de Foucauld venne scritta da René Bazin nel 1921. Nel 1933 il padre René Voillaume fondò i Piccoli fratelli di Gesù ispirati alla vita e alla spiritualità di Charles de Foucauld, imitato nel 1939 da Magdeleine Hutin, fondatrice delle piccole sorelle di Gesù. In Italia la biografia e soprattutto lo spirito di fratel Carlo vennero fatti conoscere dal libro di R. Voillaume, «Come loro. Nel cuore delle masse. Vita e spiritualità dei piccoli fratelli di Gesù», San Paolo 1999. Su Elia Dalla Costa sono importanti i numerosi scritti di Bruna Bocchini Camaiani. Tra l’altro, l’autrice ha scritto un profilo del cardinale per il Dizionario Biografico Treccani e per il volume «La Chiesa in Italia», a cura di Elio Guerriero, San Paolo, 1996, pp. 420-434. Sui monaci di Tibhirine, cfr. J. Pierre Schumacher e N. Ballet, «Lo spirito di Tibhirine», Edizioni paoline, 2014, e Ch. De Chergé, «L’ altro, l’atteso. Le omelie del martire di Tibhirine», San Paolo, 2016. Su Shahbaz Bhatti, cfr. il volume del fratello maggiore del politico cattolico ucciso, Paul Bhatti, «Shahbaz. La voce della giustizia», prefazione del cardinale Parolin, San Paolo 2017.