Referendum. Il nostro voto, il dovere dei politici. Sia Sì sì No no
Comunque vada, quest’oggi avrà vinto la democrazia. Comunque vada, avranno perso certi politici, quelli dello scontro per lo scontro. Comunque vada – meglio dircelo prima – bisognerà lavorare per ricostruire un rapporto tra il palazzo che s’intesterà la vittoria e parti importanti della società italiana. Quelli che non si sono fidati del progetto di riforma costituzionale proposto, se a prevalere fossero i Sì. O quelli che, se ad abbondare fossero invece i No, vedrebbero frustrate le loro aspettative di cambiamento. Comunque vada, sarà necessario evitare mosse avventate e (ri)mettere a punto, secondo attese diffuse, con la più ampia convergenza possibile, buone regole per l’elezione del Parlamento della Repubblica.
Vincerà oggi la democrazia perché, proprio grazie al grande patrimonio lasciatoci dai padri costituenti e a coloro che lo hanno fatto fruttare in ormai lunghi decenni di pace sociale e di crescita civile, siamo liberi di decidere se e come mutare le forme in cui si sviluppa la nostra democrazia, senza intaccarne i valori fondanti. Consapevoli che tutto è imperfetto – l’attuale progetto di riforma, così come la difesa dello status quo o la promessa di un diverso cambiamento (quale? sulla base di quale intesa?) – ma se a fare da stella polare sono il bene comune e non gli interessi personali e di fazione, la protezione dei deboli e non il vantaggio dei forti, l’apertura e l’inclusione degli altri anziché la chiusura nelle proprie (false) sicurezze, una democrazia non può finire fuori strada. Perché a sostanziarla, assai più delle forme in cui si esplica, e persino del necessario bilanciamento dei poteri, è l’animus dei cittadini, la loro passione, partecipazione e capacità di giudizio.
Avranno perso tanti politici, proprio perché non hanno saputo animare un confronto leale sul merito della riforma, caricandola di funzioni salvifiche o, al contrario, addossandole rischi esiziali per la stessa democrazia, che francamente non esistono in alcun caso. Si è fatto di tutto per snaturare il significato del referendum, trasformandolo ora in un sondaggio sul gradimento del premier in carica ora nelle votazioni per il congresso di un partito (il Pd), per la leadership e la natura di una – ipotetica – coalizione (di destra-centro o di centro-destra). Sono stati avanzati ricorsi giudiziari dal sapore solo propagandistico e dallo scontato esito negativo, se ne sono annunciati altri, ma solo a seconda del risultato, e si è persino gridato ai brogli in maniera preventiva. Si è solleticata tanto la pancia del Paese (fino a chiedere un voto di questa specie), assai poco si è stimolata la testa, in ben pochi casi si è scaldato il cuore. E si è spaccata l’opinione pubblica.
Lo si è fatto con argomentazioni ingiuste e persino impossibili – il pericolo di una dittatura, i serial killer delle future generazioni, le mafie al governo, la grande palude dell’immobilismo – che hanno finito per togliere legittimità alle ragioni di un fronte e dell’altro, rischiando di toglierne alla scelta stessa dei cittadini. Invece chi voterà Sì non sarà un fascista e neppure un complice della mafia. E a chi sceglierà il No non potranno essere addebitati i mali paralizzanti del bicameralismo paritario, i malfunzionamenti della sanità o la perniciosa instabilità dei governi.
Bisognerà perciò ripartire dalla ri-legittimazione delle posizioni e delle opinioni dell’altro – elemento essenziale e costitutivo di ogni democrazia – se si vuole un Paese che non sia eternamente frammentato e sterilmente litigioso e, dunque, incapace di felice sviluppo. Il mondo cattolico che ha affrontato questo referendum in maniera molto "laica", con posizioni variegate, ma non divisive o di feroce contrapposizione, può indicare una strada in tale direzione. L’unica che può permettere a una classe politica logorata di ricostruire il rapporto di fiducia con i cittadini.
Da domani, sia che si abbia un Senato radicalmente riformato sia che resti l’assetto attuale, si dovrà lavorare a una nuova legge elettorale. Non modulata sulle contingenti presunte convenienze dell’uno o dell’altro partito, ma pensata per rafforzare proprio il legame fiduciario e la stretta relazione elettore-eletto che sono la base di una rappresentanza degna di questo nome. È essenziale, e anche noi lo sollecitiamo da almeno dieci anni, che i cittadini tornino fortemente e direttamente protagonisti della scelta dei propri rappresentanti.
Oggi, intanto, la nostra scelta sia lineare e limpida. Un consapevole voto "per" , non "contro". Sia il nostro Sì sì e il nostro No no, vagliando in coscienza il meglio possibile per il nostro Paese e infischiandocene delle parole inutili. E i signori dei partiti intendano bene, e bene si accingano a fare, sbloccando in ogni caso un’Italia che merita di essere rispettata e davvero rimessa in moto. Settant’anni fa, per una scelta istituzionale assai più divisiva tra Monarchia e Repubblica, con un clima e condizioni interne ed esterne estremamente più complicate e pericolose, i loro grandi predecessori e tutti i nostri genitori e nonni ne furono capaci. Fallire ora sarebbe del tutto inaccettabile.