Opinioni

Legge elettorale. Rebus dell'intesa larga e voglia di proporzionale

Marco Olivetti martedì 6 dicembre 2016

Chi pensava che una sconfitta della riforma costituzionale significasse semplicemente il mantenimento dello status quo dovrà ora misurarsi con una situazione che si rivela, più che mai, in movimento. Le dimissioni del governo Renzi aprono uno scenario più che mai incerto, ma ciò ovviamente rientra nella fisiologia dei rapporti di forza politico-istituzionali. Ciò che è destinato a cambiare è la cornice nella quale si svolgerà nelle prossime settimane il dibattito sulla riforma elettorale. I numerosi critici dell’Italicum, infatti, dovranno ora costruire una soluzione "in positivo", abbandonando la posizione – tutto sommato comoda e poco impegnativa – di criticare una riforma, che pure quasi tutti ritengono manifestamente migliorabile.Tutto ciò potrebbe essere rubricato a passatempo per esperti, o sedicenti tali, se dalla campagna referendaria non fosse gradualmente emerso un impetuoso desiderio di ritorno a un sistema elettorale di tipo proporzionale, più o meno puro. Il ritorno alla proporzionale ha alla sua radice una serie di fattori.Il primo è la mai abbastanza criticata sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare costituzionalmente illegittima la (tutt’altro che nobile) legge Calderoli, ha costituzionalizzato alcune scelte in materia elettorale, che i Padri costituenti avevano inteso lasciare all’autonomia della politica. In tal modo, la Corte ha anche riaperto una questione mai del tutto chiusa e che oggi è sul tavolo dei soggetti istituzionali.Il secondo è il vecchio complesso del tiranno, già ben presente in Costituente e che continua a dominare il modo di ragionare di soggetti istituzionali, studiosi, semplici cittadini.

Ma il complesso del tiranno ha diverse varianti: c’è che vedeva in Renzi una variante di questo fenomeno e chi lo vede nel Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo è una forza politica che rifiuta programmaticamente l’alleanza con altri partiti: quale modo migliore per fermarlo se non un ritorno a un sistema elettorale di tipo proporzionale, che impone coalizioni? Infine, l’ultimo soggetto infettato dal complesso del tiranno è Silvio Berlusconi, per il quale la sconfitta della riforma costituzionale costituisce un toccasana, e che potrebbe vedere nel ritorno alla proporzionale quella boccata d’ossigeno necessaria a ricostruire un centrodestra non condotto su una via lepenista da Matteo Salvini.Il terzo fattore è la cultura costituzionale che ha egemonizzato la campagna referendaria: se, infatti, il fronte del No era assai eterogeneo al suo interno, non c’è dubbio che all’interno di esso vi sia un doppio "No originario", che ha finito per dettare i toni dell’opposizione alla riforma Renzi-Boschi. Si tratta da un lato della cultura giuridica di estrema sinistra e dall’altro di un settore per nulla marginale della magistratura ordinaria. La prima è portatrice di una cultura costituzionale ferma agli anni Settanta del Novecento, basata su una centralità del Parlamento e su un ruolo dei partiti di massa dai quali la nostra storia si è (purtroppo) da tempo congedata e che richiedono una legislazione proporzionale come loro presupposto (necessario, ma non sufficiente a riprodurre quel contesto). La seconda vede con estremo sospetto qualsiasi recupero di capacità decisionale autonoma della sfera politica democraticamente legittimata, temendo che ciò possa determinare una riduzione degli spazi - oggi oltremodo ampi - in cui, spesso con l’argomento della supplenza, è penetrato l’attivismo giudiziale. Anche da questo secondo punto di vista, la proporzionale è un toccasana.

La sconfitta della riforma costituzionale, dunque, rischia di aprire la strada alla contro-riforma elettorale e a un paradossale ritorno al futuro. Perché, se è chiaro che esistono infinite variabili di sistemi proporzionali e di sistemi maggioritari o misti, non sarà certo facile, nelle prossime settimane o mesi, trovare forme e contenuti per un accordo sulla legge elettorale. E, in particolare, una volta tornati a un approccio proporzionalistico (che ricorda, appunto, gli anni Settanta quasi come i pantaloni a zampa di elefante), sarà difficile accettare i pur minimi ritocchi a un sistema proporzionale necessari a contenere la frammentazione politica e a incentivare la stabilità di governo. Allora, la "democrazia senza vincitori", più volte invocata da alcuni negli scorsi mesi, potrebbe rivelarsi una imbarazzante realtà.