Opinioni

Il rating deve andare su, non giù. Questo Paese vale di più

Marco Girardo mercoledì 3 aprile 2013
​Con puntualità sospetta, a urne ancora “calde”, le agenzie di rating avevano già sospeso di nuovo sull’Italia la loro spada di Damocle. Moody’s si era affrettata ad avvertire: potremmo presto tagliare il giudizio sul debito del Bel Paese e portarlo a livello “spazzatura”. Da settimane l’andamento di Piazza Affari e quello dello spread – differenziale fra i nostri titoli di Stato a 10 anni e quelli tedeschi che, ahimè, abbiamo imparato a conoscere da vicino in questi lunghi anni di crisi – fanno presagire l’ennesimo declassamento. La vecchia tagliola, il meccanismo della profezia che si auto–avvera, è sempre pronto a scattare. Realizzando di fatto quello schianto dei mercati finora solo paventato e supposto. Un dejà vu. È già successo nel caldissimo autunno del 2011 e il Paese ne ha pagato a caro prezzo le conseguenze. Ma è un meccanismo che andrebbe disinnescato. Una volta per tutte. Anche se Moody’s avesse scelto di bocciarci questa notte, mentre i giornali erano già sulle rotative. Andrebbe disinnescato sia nella forma, smascherando il gioco perverso della minaccia che veste i panni dell’incubo e condiziona comunque i mercati, sia nella sostanza: l’Italia sconta un rischio Paese non più giustificato. I fondamentali hanno tenuto, e continuano a tenere, nonostante il quadro politico resti più che precario nel bel mezzo di una recessione epocale. Uno sguardo non miope sulla nostra situazione dovrebbe considerare anche i punti di forza del Paese, messi a dura prova dalla crisi. E questo, semmai, dovrebbe indurre ad alzare il nostro rating, non a tagliarlo.Dalle ultime bocciature, infatti, sono cambiate un bel po’ di cose. A guardare come i mercati hanno reagito ieri, senza scossoni, dopo una pausa di quattro giorni, gli investitori sembrano essersene già accorti. Ma è bene ricordarlo anche ai “signori del rating”. Due delle condizioni che avevano determinato i precedenti declassamenti dell’Italia, per cominciare, non ci sono più. Non si assiste <+corsivo>in primis<+tondo> a una fuga verso i debiti più sicuri: le aste vanno bene e i rendimenti dei Btp, pur alti, non sono a livelli di guardia. L’Europa e la Bce, poi, hanno messo a punto strumenti di difesa in grado di scongiurare il default di Paesi come Spagna o Italia, fallimento che porterebbe alla crisi forse irreversibile dell’euro. Il nostro rating, in precedenza, era stato tagliato proprio per questi motivi. Ma c’è di più. Quando i rendimenti del Btp a 10 anni raggiunsero il 7,5%, un anno e mezzo fa, gli investitori domestici detenevano il 50% dei titoli di Stato in circolazione. Da allora tale quota è salita al 59%, circa 1.000 miliardi. Sommando i titoli acquistati e tuttora posseduti dalla Bce, un centinaio di miliardi, si arriva almeno al 65%. Agli investitori esteri resta in mano “solo” il 35% del debito italiano. A quelli più sensibili a un eventuale taglio del rating, i gestori obbligazionari, appena il 13,2%.Certo, continua ad allungarsi l’ombra dell’incertezza politica. Che rende più complicato affrontare di petto, subito, oggi stesso, i veri drammi della disoccupazione e della povertà. Ma a chi valuta un Paese non possono sfuggire quelle note azzeccate che si devono comunque ascoltare. Anche nel silenzio assordante della politica. E ce ne sono davvero parecchie, di buone note: un tessuto industriale capillare e diffuso tuttora robustissimo, nonostante la recessione. Un avanzo primario che ci porta sullo stesso piano della Germania e un deficit che è un terzo di quello Usa. L’Italia può esibire inoltre uno dei regimi previdenziali più solidi del Vecchio Continente. Incombe il macigno del debito pubblico, è indubbio, sul quale è tempo di  intervenire in modo strutturale. E il sistema creditizio non supporta come sarebbe possibile e opportuno la voglia di fare di tanti italiani seri e coraggiosi. Ma l’indebitamento complessivo del Paese, quello che tiene conto di debito pubblico e ricchezza privata, è tra i migliori d’Europa. La sola ricchezza finanziaria netta delle famiglie, senza contare cioè “il mattone”, supera di una spanna il nostro debito pubblico. Una pagella deve considerare i risultati in tutte le materie, non solo i voti ottenuti in “politica”. Per questo l’Italia, complessivamente, avrebbe già meritato una promozione.