Opinioni

Questo tempo ci spinge all'essenziale: per noi vocazione, non preoccupazione

Marco Tarquinio domenica 10 maggio 2020

Gentile direttore,

sono stupito dalla sua risposta alle tre lettere pubblicate su "Avvenire" di giovedì 7 maggio a proposito del ritorno alla celebrazione di Messe con la presenza dei fedeli. Così come mi sono meravigliato del «disaccordo» da parte della Cei al decreto sulla "fase 2" del 26 aprile appunto per il mancato via libera alle celebrazioni alla presenza dei fedeli. A mio modo di vedere tale divieto non poteva essere considerato un provvedimento immotivato da parte di uno Stato, che - come lei ha scritto - «non può sospendere ad libitum o riattivare a proprio piacimento la libertà di culto». Mi è sembrata, come del resto tutti gli altri provvedimenti, una misura per la salvaguardia della salute pubblica, che può provocare disappunto, ma è purtroppo necessaria. Penso che la "fase 2" sia partita troppo presto, quindi anche riguardo alla celebrazione con la presenza di fedeli, bisognava aspettare ancora; in un articolo di "Avvenire" di martedì 28 aprile si diceva che «secondo le previsioni del governo la riapertura del Paese con ogni probabilità porterà a un aumento dei nuovi casi». Si sta sposando l’idea di Trump che nonostante future morti per coronavirus si deve ripartire a tutti i costi? Un’ultima domanda: dal 18 maggio se una persona - per paura di poter essere contagiata - non dovesse recarsi in chiesa per la celebrazione dell’Eucaristia, ma decidesse di ascoltarla attraverso la radio o la televisione, assolverebbe ugualmente al precetto festivo? Grazie per l’attenzione, buon lavoro a lei e ai suoi colleghi di "Avvenire".

Alberto Prandoni, Legnano

Caro direttore,

due cose, forse le uniche, ha migliorato il corona virus. L’aria, e il sentimento religioso. Vorrei concentrarmi su quest’ultimo che vedo aumentare: anche chi non frequentava Messe e Rosari e preghiere collettive ha cominciato a partecipare a ogni manifestazione religiosa e ascolta i bravi predicatori che, grazie anche a internet, sono riusciti a farsi conoscere. Ecco, non perdiamoli. Non perdiamo questi fedeli che finalmente hanno riscoperto la religione. Sono persone che magari si comportavano correttamente, con dedizione verso il prossimo, ma non ritenevano di dover inserire tutto questo in una visione più ampia. Glielo dico, direttore, non ho nessuna nostalgia di certe vecchie Messe. Per questo ora non capisco tutto questo entusiasmo per la riapertura al popolo delle Celebrazioni religiose dal 18 maggio. La situazione contagi non è diversa da prima. E ora aumenteranno i pericoli anche per i sacerdoti, perché chi torna alle funzioni religiose e a prendere l’Eucarestia, "pretenderà" la confessione. Sì, "pretenderà", perché io credo che ci sia dell’egoismo nel voler tornare ai privilegi passati (la Comunione lo era, io andavo a Messa tutte le mattine e gustavo quel momento come un privilegio), mettendo a rischio la vita delle altre persone. Io ora vivo come un privilegio poter accedere alla Comunione Spirituale tutte le mattine ascoltando la santa Messa celebrata da papa Francesco. Anche questo ascolto lo inserisco fra le cose buone portate dal coronavirus, per me è il momento più bello della giornata. Ringrazio ogni giorno il Signore di averci dato papa Francesco, prego per lui, e perché finalmente la Chiesa tutta, chiamata a rinnovarsi, sappia rispondere. Per intanto fino che durerà la pandemia io alle Messe non andrò, per rispetto verso gli altri. Posso offrire la mia vita come martire, non ho diritto di mettere a rischio quella del mio prossimo.

Milena Cimenti

Cara signora Cimenti e gentile signor Prandoni, grazie al lavoro dei miei colleghi, ben più ampio delle risposte o dei commenti che di volta in volta ho curato in prima persona, "Avvenire" ha fornito anche sul tema della sospensione e del ritorno, dal prossimo 18 maggio, alle Messe cum populo le informazioni più ampie e affidabili. Eppure vedo che si ripropongono questioni già risolte (perché la storia – o anche solo la cronaca – è andata avanti). Non me ne stupisco più di tanto, anche se qualcuno – come voi – lo fa e mi induce a tornare ancora una volta sull’argomento. Per prima cosa ricordo che e, a quanto mi risulta, nessun vescovo, e certamente non la Cei, ha mai perseguito una linea di «riapertura a ogni costo» della partecipazione fisica dei fedeli alla Messa e ad altre celebrazioni e preghiere pur in tempo di pandemia. Nessuno. Per questo è improponibile e – mi perdoni, signor Prandoni – persino lunare qualunque paragone con leader politici che hanno dimostrato di non tenere in gran conto la salute dei propri concittadini (come si ricorderà, anche a tale proposito ho scritto con qualche chiarezza).

Detto questo, è ovvio che si può pensare ciò che si vuole della Fase 2 dell’emergenza da coronavirus, non esserne affatto convinti ed esercitare in massimo grado la virtù della prudenza a prescindere dalle possibilità dischiuse dalle regole di sicurezza ora in vigore. Ma è difficile equivocare la posizione della Chiesa italiana, che è stata lineare: partecipe, collaborativa e rispettosa delle responsabilità delle autorità civili sin dal primo esplodere di questa gravissima crisi sanitaria, ferma nel chiedere altrettanta collaborazione e rispetto nell’evoluzione della situazione. I nostri vescovi, mentre si tornava a consentire, concertando il passo con i giusti interlocutori, una prudentissima vita sociale e una assai cauta libertà di movimento e di attività economica, hanno ricordato che tale possibilità andava concordata e stabilita anche per la dimensione religiosa. Nessun privilegio solo per i cattolici, nessuna imprudente noncuranza, nessuna rinuncia all’esercizio di una propria e serissima responsabilità. Siamo tutti sulla stessa barca, come ci ha ricordato il Papa nella memorabile preghiera del 27 marzo.

I due lettori non intenderebbero partecipare di nuovo in questa fase alla Messa, ma si ripromettono di seguirla a distanza come nei giorni della più stretta clausura decisa dal governo. Lo fanno con motivazioni alte e belle, e con considerazioni niente affatto banali. Per di più lei, caro signor Prandoni, mi chiede seccamente se può farlo assolvendo ugualmente al precetto festivo. Le rispondo che la posizione della Chiesa è ribadita anche nel Protocollo firmato dal presidente della Cei, cardinale Bassetti: è prevista «la dispensa dal precetto festivo per motivi di età e di salute». L’abbiamo già scritto e lo ripeto qui. Sottolineando che in quel testo si fissa nero su bianco ciò che, allo stato delle cose, appare opportuno e indispensabile per consentire a quanti vorranno e potranno di partecipare nuovamente e in sicurezza alla Messa e ad altre liturgie comunitarie: regole per l’accesso agli edifici sacri e la disposizione al loro interno, la celebrazione dei sacramenti e la distribuzione della Comunione.

La pandemia e le sue conseguenze ci spingono a guardare appassionatamente all’essenziale. Ho sempre pensato che è un’attitudine buona per chiunque, credente o no, ma mi hanno insegnato che per un cristiano l’essenzialità più che una preoccupazione dovrebbe essere una vocazione... Così come mi hanno insegnato, e non dimentico, che le intenzioni con cui in coscienza agiamo, cioè scegliamo di fare o non fare, sono decisive e che le condizioni oggettive in cui ci troviamo pesano. Mi auguro che a tutti noi sia dato di vivere con serenità e gioia il ritorno del popolo cristiano a Messa, che si realizzerà solo grazie a una generosa collaborazione nell’organizzazione (dando davvero una mano ai nostri preti) e nella partecipazione (rispettando regole e consigli) da parte di un po’ tutti.