Orizzonti. I giovani e la ricerca di un altrove
Nella sua introduzione ai lavori dell’Assemblea dei vescovi italiani il cardinale Zuppi ha più volte citato i giovani. Lo ha fatto non dedicando loro una parte del suo intervento, ma disseminando qua e là riferimenti che dicono un modo di pensare il rapporto della Chiesa con i giovani: sempre meno una porzione della comunità cui dedicare attenzioni pastorali specifiche, ma componente organica della comunità stessa e della società. Non si può parlare di economia, di povertà, di cultura, di Chiesa... senza citare esplicitamente i giovani, che abitano quelle realtà con modalità proprie, attraverso le quali parlano di sé e, in qualche modo, di tutti.
La Chiesa italiana si è messa in ascolto anche della generazione giovanile attraverso un percorso sinodale che sta mostrando un modo diverso di essere Chiesa: inclusiva, aperta, disponibile a lasciarsi interrogare... Proprio il tipo di Chiesa che i giovani vorrebbero e che indurrebbe forse molti di loro a rivedere la loro posizione di lontananza dai contesti ecclesiali. Per coincidenza, proprio in questi giorni l’Istat ha diffuso dati di una ricerca realizzata nel 2023 e riguardante ragazzi e giovani tra gli 11 e i 19 anni, ricerca della quale "Avvenire" ha offerto un’ampia sintesi argomentata dedicandole la prima pagina di ieri. Tante cifre, a disegnare una realtà da cui non è possibile prescindere. Che cosa c’è dietro ai numeri? Dietro il 74,5% di giovani che dichiarano di voler fare famiglia e della percentuale (61,5%) che vorrebbe avere due o più figli? Dietro c’è forse l’esperienza di una famiglia di origine che, con tutte le fatiche che sono sempre più frequenti, tuttavia fa loro pensare che l’esperienza familiare è desiderabile.
Che il mettere al mondo un figlio è un modo per dare e darsi un futuro, che il senso di pienezza e di realizzazione personale passa anche attraverso quella strada.
Nella famiglia ci sono i punti di riferimento quasi esclusivi dei giovani. In un’indagine dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di qualche anno fa emergeva come la mamma costituisca la principale interlocutrice per ogni tipo di problema; e dopo la mamma, le altre persone di riferimento sono tutte interne all’ambito familiare. Che il sistema relazionale dei giovani ruoti attorno alla famiglia è un dato che genera speranza, anche se pone qualche interrogativo: forse nell’ambito delle relazioni dei giovani non vi sono altre figure educative? Qualche insegnante? Qualche sacerdote? Qualche educatore? Qualche suora?... Se hanno un problema, dicono quando sono intervistati, ne possono parlare solo con gli amici o con le persone della propria famiglia.
I giovani si sentono molto soli. «La solitudine dei giovani – ha dichiarato in un’intervista una ventenne qualche tempo fa – è l’unico tema su cui sarebbe necessario indagare». In una recentissima intervista pubblicata sul Corriere della Sera, il rapper Ultimo ha detto che «essere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di riferimento». Forse l’espressione è un po’ eccessiva, ma si può immaginare che le migliaia di giovani che sono fan di Ultimo e che vanno ai suoi concerti abbiano la stessa visione amara della vita.
Colpisce ma non troppo la percentuale che nella ricerca Istat dichiara la propria paura nel futuro. È da qualche anno che la giovinezza non è più la stagione dello slancio fiducioso verso il domani ma è vissuta come un tempo carico di rischi e di minacce. L’esperienza della pandemia, che una buona parte degli intervistati ha vissuto in Dad, i cambiamenti climatici sempre più evidenti, le guerre in atto alle porte dell’Europa e del Mediterraneo spiegano l’ansia di uno sguardo sul futuro che appare più come una minaccia che come una promessa. E dal futuro si sentono minacciate le ragazze più dei loro coetanei maschi; forse è tempo che tutte le istituzioni, a cominciare dalla Chiesa, si interroghino sulla condizione femminile, i cui segnali di disagio sono pari alle risorse che esse mostrano di avere e di voler spendere.
Gli intervistati dell’indagine Istat dichiarano di voler andare all’estero: Spagna, Inghilterra, Stati Uniti sono i Paesi da cui si sentono più attratti. Lo fanno perché in Italia non trovano lavoro? Forse, ma è anche possibile che la loro voglia di altre terre sia il segnale di una mentalità che ama pensarsi al di là dei confini: non solo quelli geografici, ma anche quelli di età, di culture, di religioni, e persino di genere. Le nuove generazioni sembrano in cerca di un altrove, espressione di quel viaggio alla ricerca di sé stessi che è il segnale dell’affacciarsi di una nuova forma di spiritualità.
Nella Chiesa, che manifesta un interesse crescente e nuovo per i giovani, vi è la consapevolezza che la questione giovanile non è delegabile ad alcuni addetti ai lavori. È una questione di comunità, di ogni comunità, di ogni istituzione. Penso che occorra finalmente lasciarsi interrogare dai giovani, dai loro disagi, dalle speranze che si trasformano in disillusioni, dai progetti cui occorre rinunciare, dagli ideali che si spengono nel realismo di situazioni davanti alle quali ci si sente impotenti.
Forse è tempo che tutte le istituzioni, e non genericamente il mondo adulto, si prendano la responsabilità di ascoltare i giovani, nella volontà di una reale inclusione.