Contro la violenza sulle donne/2. È questione da veri uomini
Vorremmo non doverla celebrare questa Giornata contro la violenza sulle donne. Che non ce ne fosse proprio bisogno. Ma prendendo atto della realtà che ce la impone, con forza brutale ed evidenza di sangue, l’errore da non commettere è quello di considerarla semplicemente una giornata al femminile. Che riguardi le donne, una loro battaglia da combattere riunite in convegno o sulle panchine rosse sparse per le città.
Quasi fosse un’appendice autunnale della Festa (questa, sì) dell’8 marzo.
Perché, invece, la questione riguarda soprattutto noi maschi, andrebbe meglio ribattezzata 'Giornata contro la violenza degli uomini sulle donne'.
Non si tratta semplicisticamente di prendere atto che a compiere le violenze fisiche sulle donne sono per la gran parte fidanzati, compagni e mariti nelle coppie già formate e gli ex-qualcosa in quelle che si sono disfatte. Ma che le forme di violenza maschile non sono solo quelle più efferate e definitive, come i femminicidi – già 109 quest’anno – o gli stupri, ma hanno tante espressioni e volti, intensità certo diverse, eppure ognuna particolarmente odiosa. Ci sono violenze psicologiche capaci di lasciare segni indelebili nell’anima femminile. Così come esistono violenze sociali che diventano coercizioni tali da ingabbiare il futuro delle persone. Pregiudizi e stereotipi duri a morire, in grado di ferire e condizionare la vita delle donne.
Per rendersene conto non è necessario guardare lontano fino all’Afghanistan dei taleban. Quei fondamentalisti tribali obbligano le donne a coprirsi il volto, le professioniste a non esercitare il loro mestiere e addirittura scacciano da scuola le studentesse. Assai più vicino a noi, nel nostro Paese, ci sono famiglie in cui l’educazione si risolve in mera imposizione, nel lavoro alle donne vengono assegnati ruoli marginali e retribuiti meno, alle ragazze – a prescindere da attitudini e interessi – si consigliano determinati studi e carriere che non confliggano con una futura cura familiare. Perché questa, anche al di là della maternità, resta in grandissima parte sulle spalle ben tornite delle donne, senza una reale condivisione. Per contrastare le violenze fisiche contro le donne occorre potenziare e affinare gli interventi di prevenzione dei delitti, con magistrati specializzati nel trattare le denunce di maltrattamenti, protocolli rapidi e braccialetti elettronici per gli stalker, ad esempio.
Ciò su cui è necessario insistere maggiormente, però, è la radice culturale comune a tutte le forme di violenza: quella del dominio maschile. Per accelerare e portare a compimento l’evoluzione verso una totale parità. Compito certo non facile né di brevissima durata, dopo millenni di potere esercitato dagli uomini sulle donne. Per il quale serve perciò un impegno condiviso in tutti gli ambiti. Per essere franchi: nella stessa Chiesa non possiamo nasconderci che esiste una 'questione femminile' da affrontare, a più riprese evidenziata anche da papa Francesco, ma che ancora stenta ad essere riconosciuta e risolta. Così come – per dare un’indicazione pratica – la scuola potrebbe mettere a tema la questione dei sentimenti e delle relazioni accanto a quell’educazione sessuale tanto rivendicata quanto a volte meramente tecnicistica e pleonastica per i ragazzi di oggi. Senza dimenticare che è la famiglia il luogo privilegiato in cui deve svilupparsi e rendersi concreta non solo una vera 'educazione sentimentale', ma la piena parità di tutti i suoi membri, al di là del loro genere. Eppure, perfino in quest’ambito, si tende a dare la colpa 'alle madri che non sanno educare i figli al rispetto delle loro fidanzate', quando invece questo dovrebbe essere compito primario dei padri. Non tanto a parole, ma con l’esempio del loro rispetto, stima, sostegno e amore verso mogli e figlie. Non a caso – colmo di tragico paradosso – l’ultimo femminicida a Reggio Emilia aveva perso la madre perché uccisa dal suo compagno: evidentemente nella testa dell’assassino il 'modello' della violenza maschile si è imposto perfino sul martirio della mamma, tanto da renderlo vano. Non si tratta di cancellare le identità e le differenze tra i sessi che pure esistono, semmai di valorizzarle dopo averle spogliate dalle troppe sovrastrutture culturali sbagliate, riconoscendosi finalmente piena dignità, pari valore, uguale desiderio e diritto a libertà e felicità. Il contrasto alla violenza contro le donne è compito anzitutto dei maschi, è una questione da veri uomini.