Effetti immediati e futuri. Questa guerra devasta sempre più l'Africa
Attenti, perché i segnali ci sono tutti. E sono palesi come quando l’Onu e l’Oms, insieme a tante organizzazioni non governative, lanciavano gli allarmi sull’Occidente che riusciva a garantirsi la protezione vaccinale contro il Covid e l’Africa invece annaspava nelle donazioni una tantum dei Paesi ricchi o rivendicava il diritto a violare i brevetti e fabbricarsi da sola le dosi. Oggi il 'nuovo Covid', meno totalizzante, ma altrettanto devastante e soprattutto indotto, si chiama 'grano', oppure 'energia'. Diversi nomi, diverse facce di una crisi che porterà il mondo dall’inflazione fuori controllo alla nuova recessione.
E quei segnali, da giorni, si colgono proprio nel cuore ferito dell’Africa. In Ghana la gente affamata è scesa nelle piazze di Accra per scontrarsi con la polizia. Che non ha risparmiato manganellate e candelotti di gas lacrimogeno e urticante. Nel Malawi come in altri Paesi con le economie tenute insieme dai cerotti, il prezzo del carburante è aumentato geometricamente. In poche settimane la benzina a Lilongwe è schizzata all’equivalente di due euro e mezzo. Non circolano auto, se non quelle dei militari, dei ricchi o dei politici: la distinzione tra i quali, a quelle latitudini, è sempre difficile da fare. Nella ricca (di petrolio) Nigeria succede la stessa cosa. La povertà galoppa ovunque, come la fame. Nel Corno d’Africa le Nazioni Unite prima hanno ridotto le razioni di aiuti alimentari, poi in alcuni casi le hanno dovute sospendere.
L’equazione è elementare: a parità di denaro disponile, la somma che un tempo consentiva di comprare quattro chili di farina, oggi ne fa reperire meno della metà. Con la reazione a catena e l’effetto domino che ne consegue. Le stesse 'economie del calmiere sul pane', per esempio quella egiziana e di altri Paesi sulle rive del Nilo, stanno tenendo sotto controllo gli animi, ma con difficoltà. Prima di questa crisi, innescata dal conflitto ucraino e dalla chiusura dei porti (anche) del grano, a Khartum - ancora sulle rive dello Nilo - si moriva già in piazza per il pane e per invocare il ritorno di un dittatore che aveva governato con le pagnotte, la finta devozione ai princìpi del Corano e i miliziani. Costui si chiama Omar el-Bashir: lo stanno processando per i crimini contro l’umanità commessi. O, almeno, dovrebbero farlo.
Tornando però ai giorni nostri, nei quali i segnali sono già stati messi in luce anche si queste pagine da diversi osservatori, che parlano apertamente della nuova bomba della fame africana, il problema rischia veramente di diventare devastante. Anche perché la velocità di circolazione delle derrate e i tempi della reattività umanitaria in Africa sono terribilmente dilatati rispetto a quelli dell’Occidente. Gli analisti ritengono che la curva degli effetti sui prezzi degli eventi attuali - scarsità di rifornimenti di cereali, aumenti degli idrocarburi - in Europa occidentale potrebbe cominciare a tendere al basso già prima della fine dell’estate. Vedremo.
In Africa, invece, l’esplosione è stata e tende a restare impressionante, con un effetto moltiplicatore che per anni andrà a devastare le statistiche di sviluppo, fame e povertà. Contribuirà, cioè, ad aumentare quel 'gap' che la pandemia ha reso più evidente, riportando indietro le tabelle statistiche ai valori terrificanti della prima decade del nuovo secolo. Nel 2020 il 12% (dall’8,4% del 2019) della popolazione mondiale ha vissuto uno stato di grave insicurezza alimentare, circa 928 milioni di persone, 148 milioni in più rispetto al 2019. Poi è arrivata la pandemia e ora la guerra e l’ulteriore crisi delle commodities. Si è appena chiuso un G7 nei castelli dell’Alta Baviera, per il G20 si dovrà attendere novembre e l’unica incognita sembra essere la presenza o meno in Indonesia di Vladimir Putin. L’assenza di anche un solo intervento davvero urgente, per aiutare chi aiuta ad aiutare, è purtroppo drammatica certezza.