Opinioni

Rifiuti tossici e cancro: l'ecatombe non si ferma. Quelli dei roghi, quelli del fumo

Maurizio Patriciello venerdì 23 agosto 2013
«È una vera ecatombe», scrissero l’anno scorso i vescovi della Campania a proposito del dramma che sta affossando la nostra terra. Parole vere che avrebbero meritato ben altra attenzione da parte delle istituzioni civili. È una vera ecatombe, ripetiamo noi. E chi lo nega di certo non lo fa in buona fede. Chi lo nega non ci è amico. Non ci vuole bene. E non è amico della verità e della giustizia.A Cardito, nei giorni scorsi, è morta Mirella. Aveva solo 28 anni. La leucemia, dopo averla esasperata, se l’è portata via. A Caivano, se ne è andata Sofia, una mamma cinquantenne. Aveva sette figli, gli ultimi dei quali non ancora adolescenti. Il cancro l’ha distrutta nel giro di poche settimane. Queste persone hanno pagato con la vita la cattiveria e l’ingordigia di chi si è lasciato ammaliare da Mammona. Un patto scellerato tra camorra, certi loschi industriali del Nord Italia e tanti politici che si servono della politica solo per i loro sporchi affari è stato sottoscritto sulla pelle della povera gente. Sulla morte non si specula. Sulla sofferenza altrui non si fanno affari. Questa tragedia che viviamo ogni giorno ci ha cambiato la vita. Chi si ammala e muore sono i nostri amici, i nostri parenti. Bisogna correre ai ripari, fare presto. Bisogna mettere in salvo le giovani generazioni della Terra dei fuochi.Sono appena stato a casa di Veronica. Cancro allo stomaco. Lei, sfinita, sdraiata sul divano; per terra felice, spensierata, sgambetta la sua bambina di due anni appena. Siamo stanchi. Stanchi e arrabbiati. Scarsa è la risposta dello Stato a tanta sofferenza. Scarsi i mezzi messi in campo per giungere a soluzioni serie. Pochi gli interlocutori che si assumono la responsabilità di questa immane tragedia. Certe autorevoli voci ancora non si fanno sentire. Eppure sanno tutto. E non da oggi. Le varie Commissioni d’inchiesta hanno messo tutto in evidenza. Basterebbe andare a spulciarne gli atti. L’ultima a concludere i lavori, quella presieduta da Gaetano Pecorella, ha paragonato la situazione in Campania alla peste del Seicento. In questa striscia di terra a cavallo delle province di Napoli e Caserta si sta consumando un dramma di portata storica.L’insopportabile scaricabarile tra enti locali e Stato centrale continua in tutta la sua assurda, ridicola, ottusa caparbietà. Ognuno tende di salvare la sua faccia e la sua poltrona. La gente è esasperata. E quando è esasperata, la gente fa paura. Non conviene arrivare a tanto. Vedere morire i figli è qualcosa di orrendo, insopportabile. Soprattutto se si poteva evitare. Il popolo semplice non riesce a capire il motivo di tanti ritardi e omissioni, di questo lasciar mano libera a chi viola la legge, a chi uccide. E comincia a serpeggiare il pensiero che, in realtà, non si voglia proprio intervenire. Che sia in atto una strategia per non arrivare a soluzioni. Che si voglia nascondere qualcosa o qualcuno. Che questa situazione «faccia comodo» a tanti.Non ha tutti i torti, la povera gente. Si sente presa in giro. I verbi coniugati da chi comanda sono sempre al futuro: faremo, diremo, provvederemo. Calato il sipario dell’occasione pubblica, resta solo un silenzio angosciante. E la gente muore, di cancro. E la Campania ancora non ha un registro tumori.E il nuovo ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ancora non viene a vedere con i suoi occhi che cosa sta accadendo in questa regione bella e disgraziata. E si fanno illazioni... Qui si agonizza e si lotta tra fuochi e fumi assassini, e chi ci governa e ci rappresenta ancora pronuncia parole come fumo leggero. Queste morti sono sempre più dolorose e insopportabili. Si muore per motivi vergognosi ed evitabili. Per silenzi omertosi. Per denaro e per potere. Ma chi se non lo Stato, nel quale continuiamo caparbiamente a credere e a sperare, deve prendere di petto la situazione? Enzo ha diciotto anni. Ne aveva otto quando il cancro gli rubò il fratellino, Luca. Si disperò per mesi. Mi è venuto incontro sul sagrato della chiesa al termine del funerale di Sofia. Mi ha abbracciato, piangendo. Ho capito. Anche lui sta combattendo contro lo stesso morbo. Quando l’Italia si desterà per mettere fine a tanto scempio? ​​​​