Opinioni

La raffica di arresti dei boss "casalesi". Quelli che nessuno sanno amare

Maurizio Patriciello giovedì 5 maggio 2011
Alla fine anche lui, Mario Caterino, numero due del clan dei casalesi, è caduto nella trappola. Lo credevano in giro per il mondo e invece si nascondeva proprio a Casal di Principe, il suo paese, in provincia di Caserta. Il paese dove nel 1994 venne trucidato in chiesa il nostro don Peppino Diana. Solo pochi giorni fa era finito dietro le sbarre, Vincenzo Schiavone, detto 'Copertone', per l’abitudine che aveva di dare fuoco alle sue vittime, dopo averle ricoperte di pneumatici. Il cerchio si stringe attorno al capo indiscusso, il pericolosissimo e finora imprendibile, Michele Zagaria. Altre due importanti vittorie dello Stato sulla maledetta zizzania che avvelena e deturpa le terre campane e che va sotto il nome di camorra. I cittadini onesti, i parenti delle vittime innocenti, i giovani tirano un respiro di sollievo.La guerra che la camorra ha dichiarato alle persone perbene è sempre stata impari e vigliacca. Loro, i camorristi, hanno sempre giocato sporco. Pur di arraffare ciò che non gli appartiene sono disposti a tutto. Imbrogliano, mentono, intimidiscono, uccidono. Trascinano nella loro folle corsa verso la disperazione e la morte tutti, a cominciare da coloro che dicono di amare. La verità è che non amano nessuno. Insozzano gli animi dei fanciulli, degli adolescenti, dei giovani, trascinandoli in un baratro che, certe volte, sembrava proprio non avere fondo. Hanno accumulato patrimoni immensi, sparsi per il mondo. Hanno preteso, minacciato, rapinato, per accumulare immensi patrimoni di cui non potranno mai godere. Schiavi di una bramosia che non gli concede pace non hanno rispetto di niente e di nessuno. Guai a chi osa ostacolarne il cammino. Guai solo a parlare di diritto o di giustizia. Hanno trasformato ettari di terreni ubertosi tra i più ameni d’Europa, in cimiteri brutti e puzzolenti, pregni di ogni sorta di rifiuti urbani, industriali, tossici. Impaurire i compaesani, sfidare lo Stato li eccita. Figli di poveri e onesti contadini, si lanciarono nella più triste e squallida delle avventure umane. La prima notte che uccisero non dormirono, poi ci fecero l’abitudine. «Stai tranquillo, passerà…», diceva loro il capo al ritorno della missione di morte. Anche il male, ha bisogno di una parvenza di bene. Fu così che si inventarono una loro sciocca filosofia: «Non è contro gli onesti che lottiamo, ma contro uno Stato arruffone e ladro. I cattivi sono gli altri, chi ci governa, non siamo noi... Noi portiamo lavoro…». Pretesero rispetto. Amavano atteggiarsi a eroi. Gioivano quando qualcuno andava a chiedere un 'piacere'. Non troncarono nemmeno il rapporto con la religione della nonna. Anzi, una pseudo religione, dove anche Iddio è loro sottomesso, li inebria. Nessuna meraviglia se nel rifugio di Mario Caterino, accanto al televisore, troneggiava l’ immagine di Padre Pio. In tanti si sono chiesti come può un camorrista, un mafioso leggere la Bibbia, venerare immagini sacre e poi non avere rispetto per la dignità dell’uomo. La risposta è semplice. Quando Dio smette di essere il Dio vero del Vangelo, quando non è più il Signore della propria vita, diventa un idolo al quale puoi far dire ciò che vuoi. Questi uomini tradivano e venivano traditi. Soffrivano e facevano soffrire. Uccidevano e venivano a loro volta uccisi. La società civile, sempre di più, da codesti sanguinari sciagurati si difende, li assicura alla giustizia. La Chiesa di Aversa, la loro Chiesa, non li abbandona, ma continua a pregare per la loro conversione. Sa che anche nel cuore più indurito c’è una scintilla di Dio che non si è mai completamente spenta. È su di essa che fa leva. Prega perché nelle lunghe notti insonni, Mario Caterino, Copertone, Sandokan, e decine di altri camorristi, possano ripensare al male atroce che hanno fatto alla loro terra, alla loro gente e chiedere perdono. A Dio e alla società.