Opinioni

Lo sciopero della Cgil, le sue scelte. Quelle energie inchiodate al «fronte del rifiuto»

Sergio Soave mercoledì 7 settembre 2011
Lo sciopero generale indetto dalla Cgil in concomitanza con la discussione delle misure per fronteggiare il grave rischio di collasso finanziario ha diviso profondamente il mondo del lavoro, le forze politiche, i commentatori. Lo scambio di accuse tra il leader della Cisl Raffaele Bonanni, che aveva definito «demenziale» l’idea di scioperare in questa fase della crisi, e la segretaria della Cgil Susanna Camusso, che ha replicato considerandolo «sull’orlo di una crisi di nervi», dà l’idea di quanto si sia fatta ampia la distanza tra le due maggiori confederazioni. Eppure, solo un mese fa, la Cgil era sembrata rientrare nell’ambito del sistema negoziale, che aveva abbandonato per anni e le altre rappresentanze sociali avevano salutato con soddisfazione quel passo, che sembrava concludere una lunga fase di isolamento e che invece è stato solo una breve parentesi.Sull’andamento dello sciopero ci sono come sempre versioni assai distanti, anche se alcuni dati oggettivi, come quello della partecipazione inferiore al 10 per cento nel pubblico impiego, e qualche piazza, come quella milanese, presidiata da soltanto qualche migliaio di manifestanti, sembrano non discostarsi dai dati degli ultimi scioperi solitari della Cgil, nettamente minoritari.Anche il fronte politico ha reagito in modo assai articolato: oltre all’ovvia condanna da parte delle formazioni di maggioranza, c’è da registrare una netta divaricazione tra le opposizioni. Il Partito democratico, almeno nelle sue figure di vertice, ha aderito alle manifestazioni di protesta della Cgil, anche se qualche settore del partito l’aveva giudicata almeno intempestiva, mentre l’Italia dei valori e Sinistra e libertà l’hanno sostenuta senza riserve. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, al contrario,vi ha ravvisato i sintomi di una «sindrome greca», cioè di quella rottura verticale della coesione sociale che ha esposto il Paese ellenico a gravissime turbolenze e persino a infiltrazioni anarcoidi (di cui si è visto qualche sintomo in episodi di violenza verificatisi a Napoli).Fortunatamente, per la verità, nell’insieme del corpo sociale, la critica anche aspra alle specifiche scelte del governo, che è assai diffusa, si accompagna alla preoccupazione per i rischi che corre il Paese. La Cgil ha scelto ancora una volta – come già fece opponendosi alla riforma della contrattazione, agli accordi Fiat e a tante altre scelte unitarie delle parti sociali e delle altre grandi confederazioni – una sorta di "fronte del rifiuto" e questo la sposta su posizioni estremistiche e marginali, al di là della tradizionale capacità di mobilitazione di una estesa fascia di militanti e l’egemonia che esercita sull’area dell’antagonismo politico e sociale. Può darsi, tuttavia, che con lo sciopero generale abbia voluto dare sfogo alle tensioni e alle esasperazioni, in modo da poter poi tornare alla funzione negoziale propria di ogni sindacato. L’enfasi che è stata posta nei comizi nella denuncia del comportamento non solo delle tradizionali controparti, governo e imprese, ma anche, se non soprattutto, delle altre rappresentanze del lavoro fa purtroppo prevedere che la dissidenza solitaria della maggiore confederazione non sarà di breve durata. E questa è una brutta notizia per la sinistra e, quel che più conta, la conferma che un’energia sindacale assai importante, anche in questa fase delicatissima, è sostanzialmente persa per il Paese.