Nei dibattiti e sui giornali, dai divani frivoli dei talk show o sulle poltrone di opinionisti competenti: ovunque, dalla fumata bianca che mercoledì sera ci ha donato questo splendido Papa, è tutto un fiorire di elogi, corali, univoci, trasversali. Con i segni, straordinari, che ha saputo dare fin dalla sua prima apparizione, Francesco sembra aver messo d’accordo tutti, credenti e atei, potenti e umili, destra e sinistra (radicali compresi). È come se, nella confusa incertezza che pervade il nostro presente, in lui ognuno riconoscesse le fondamenta solide da cui ripartire, il punto fermo che ridà certezze e orientamento. Tutti, però, sono soddisfatti nel citare i suoi inviti al vivere con poco e al nutrirsi dell’essenziale, ma anche rapidi nel puntare il dito verso questa o quella categoria alla quale il monito sarebbe diretto: i cardinali, i preti, i politici, i vicini di casa e di scrivania, insomma, gli "altri". Capiremo prima o poi che gli altri siamo noi? Corale anche la sorpresa per quel nome, Francesco, che indica povertà e pace. Ma perché stupirsi se un Papa, il vicario di Cristo in terra, predica e vive l’umiltà? Un conto è la meraviglia gioiosa e altro è la sorpresa: non era proprio Cristo a inginocchiarsi per lavare i piedi e a sedersi con prostitute e pubblicani? Non diceva agli ultimi che erano i primi, e ai primi gli ultimi, rovesciando il mondo? Perché stupirsi se un Papa raccomanda ai confessori misericordia per le anime? Proprio il Vangelo di domenica raccontava di un Gesù e un’adultera rimasti soli l’uno di fronte all’altra, lei consapevole del suo peccato e lui che ne rimetteva il debito, dopo il famoso comando «chi è senza peccato scagli la prima pietra». Forse allora qualche voce in quel coro unanime conosce poco la Chiesa e il Cristo su cui è edificata, forse qualche sguardo si ferma troppo su quella mozzetta non indossata (termine sconosciuto ai più fino a mercoledì, oggi declamato per dimostrare che il Papa è umile!) e non sulle sue parole; così una show girl, travolta dall’entusiasmo, ha dichiarato di amare già molto un Papa «che non usa la mozzetta e quando parla ricorda Belen» (sabato pomeriggio, Rai 1), e una sua collega (venerdì pomeriggio, Canale 5) è riuscita nel giro di pochi minuti a dire che Francesco «sarà adorato da giovani e adolescenti» per la sua modernità, ma poi che «è un uomo di settant’anni, con retaggi culturali antiquati e la mente chiusa, non potrà capire l’aborto». Di una parola, invece, tra quelle pronunciate da Francesco si è parlato poco, ovvero di quella «irreprensibilità» chiesta a sé e a tutti noi, sul solco già tracciato da Benedetto XVI. Solo una Chiesa irreprensibile può permettersi di predicare il bene, di giudicare e assolvere. Solo una Chiesa irreprensibile può chiedere agli uomini di diventare santi e calpestare le impronte lasciate da Gesù. Irreprensibile il Papa, irreprensibili i vescovi e i preti, sì, ma irreprensibili tutti i cristiani dal primo all’ultimo: è questo che converte il mondo ed evangelizza davvero, come disse Chiara Lubich quando ai suoi primi compagni di Focolare chiese di indossare una sola uniforme non di stoffa, «gridare il Vangelo con la nostra vita: da questo ci riconosceranno». Allo stesso modo, è guardando agire don Benzi e i suoi ragazzi che una donna cinese cercò di capire cosa causasse tanto amore: «Siete cristiani, vero?». Nessuno stupore, dunque. Restano invece la meraviglia e la gioia, perché Papa Francesco ha davvero la chiave per entrare in tanti cuori, proprio come Cristo, sedendo tra noi prostitute, noi pubblicani, noi farisei, ipocriti forse, peccatori, ma noi speranzosi, noi uomini tutti alla ricerca di quel Padre sempre agognato, sempre tradito, sempre ritrovato lì dove lo avevamo abbandonato. «Se ci si ferma qualcosa non va», ci ha detto Francesco, chiedendoci già la prima sera di «incamminarci» con lui. Non sono arrivato alla perfezione ma almeno mi sono sforzato di conquistarla, abbiamo letto domenica da san Paolo, ed è questo il cammino umile che ci aspetta. Perché l’immagine ce la dà Cristo ma la somiglianza la facciamo noi, con i nostri comportamenti.