La Francia e la legge sbagliata sul «separatismo». Quella «guerra» non è affatto laica
Segna una nuova tappa in Francia la battaglia, in nome della cosiddetta 'laicità', sul progetto di legge tenacemente voluto dal presidente Macron per contrastare il «separatismo islamista». L’esame, dopo l’approvazione dell’Assemblea Nazionale, dovrebbe riprendere in Senato a fine marzo. Le elezioni incombono, Marine Le Pen vola alta nei sondaggi, le emozioni suscitate dall’assalto nella basilica di Notre-Dame a Nizza e dall’uccisione del professor Paty alimentano il clima entro cui colloca l’iniziativa presidenziale.
L’11 febbraio scorso su queste pagine Mario Chiavario, da gran giurista e da osservatore acuto qual è, ha già colto i nodi fondamentali della contesa. Vorrei qui aggiornare il dibattito in corso, dando voce ai diversi attori che, ben al di là del mondo islamico, rischiano di pagare il conto delle nuove norme e della visione ideologica che le sottende. Poiché in uno Stato democratico una legge va formulata in termini universalistici e non mirati su una confessione religiosa, le nuove regole pensate per frenare l’islamismo radicale colpiscono anche le Chiese cristiane e per vari aspetti il più ampio e variegato tessuto associativo. Infatti il mondo associativo francese e la Conferenza delle Chiese europee (Cec o Kek), che raccoglie 114 Chiese del Vecchio Continente, hanno già formulato diverse riserve sul progetto, che peraltro ha raccolto critiche anche da parte dei vertici della massoneria d’Oltralpe.
La Cec ha colto il problema di fondo: il progetto rilancia una «cultura del sospetto » nei confronti delle religioni. Instilla l’idea che le congregazioni religiose siano ambienti da tenere sotto controllo, da sorvegliare nei pronunciamenti che emettono e nelle attività che svolgono, da vagliare nei finanziamenti che possono ricevere dall’estero. Come rileva la Cec, l’immensa maggioranza delle comunità religiose riconosce i valori democratici e arreca alla società una «cultura dell’accoglienza, della solidarietà e dei legami sociali», oltre a contribuire alla «ricerca di senso» di tantissime persone. Quanto al tema sensibile dei finanziamenti dall’estero, non sono soltanto i musulmani a beneficiarne.
Le Chiese ortodosse ricevono aiuti da Romania e Grecia, alcune congregazioni protestanti dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. Senza contare il fatto che se il sospetto verso i finanziamenti dall’estero si generalizzasse, persino le missioni cattoliche nel mondo entrerebbero nel mirino.
Gli appesantimenti amministrativi e contabili richiesti dalle nuove norme colpiscono parimenti le Chiese minoritarie, in cui gran parte dell’attività gestionale è affidata a volontari. Altre preoccupazioni riguardano la colpevolizzazione dei responsabili associativi, se un loro aderente si rende responsabile di crimini in nome dei princìpi difesi dall’associazione. La norma intende alludere al terrorismo islamista, ma comporta effetti normativi a cascata: con quella che Claire Hédon, difensora dei diritti, ha biasimato per la sua somiglianza a un’inversione dell’onere della prova, saranno i dirigenti delle associazioni (700mila in Francia) a dover dimostrare di non essere stati al corrente delle intenzioni dei membri.
Più ancora: azioni di protesta ai limiti della legalità talvolta adottate dalle associazioni impegnate in battaglie politiche, come occupazioni di luoghi simbolici, incatenamenti, interruzioni di servizi, potranno forse provocare revoche dei finanziamenti e del riconoscimento pubblico. La battaglia anti-islamista del governo di Parigi ha poi aperto un altro fronte nell’ambito assai coriaceo della ricerca e dell’università. Già oggi accade che parecchie studentesse di origine nordafricana, una volta arrivate all’università, esibiscono con orgoglio il velo, come segno di libertà e rivendicazione di rispetto, anche indipendentemente da una pratica religiosa effettiva.
La ministra Frédérique Vidal ha gettato benzina sul fuoco, denunciando la crescita di quello che ha definito «islamo-sinistrismo» (visione militante dell’islam in 'sinergia' con l’acuta polemica di una parte della sinistra contro lo Stato d’Israele), e annunciando di voler conferire al Cnrs (Consiglio nazionale della ricerca scientifica) un incarico di valutazione della questione: ossia una sorta di compito ispettivo che deborda dalle competenze dell’organismo.
Come non era difficile prevedere, il mondo accademico e intellettuale è insorto in difesa della libertà di ricerca. In sostanza, la riaffermazione di una versione così ideologica, pregiudiziale ed esclusiva della laicità potrà forse servire a contendere voti all’estrema destra, rassicurando una parte degli elettori. Ma, peggiorando gli infausti esiti della campagna contro i simboli religiosi nelle scuole e nei luoghi pubblici (il velo, la kippah, la croce…), rischia di inasprire le divisioni sociali e culturali, di accentuare una visione patologica dell’islam, di stigmatizzare per trascinamento le altre religioni, di colpire alla fine valori fondamentali di libertà e di tolleranza. Chissà che cosa ne avrebbe detto Voltaire…