Il direttore risponde. Dopo Todi: quel che si fa quel che si può fare
Caro direttore,
apprezzo molto l’attenzione con cui Avvenire sta seguendo il dibattito e le iniziative legate alla presenza politica dei cattolici. La questione mi coinvolge personalmente dal momento che sono impegnato in politica da molti anni: ho iniziato nel Consiglio comunale della mia città (Lecco) diventando prima assessore e poi sindaco e oggi sono assessore in Regione Lombardia. La mia avventura politica ha preso avvio giusto un anno dopo l’inizio dello straordinario pontificato del beato Giovanni Paolo II con la sua grande sfida lanciata a tutti gli uomini – «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo» – e con il pieno recupero della Dottrina sociale della Chiesa, offerta come fondamentale strumento ai cristiani impegnati. Trovo nei richiami di Benedetto XVI una profonda continuità con quelle indicazioni e anche il richiamo a una «nuova generazione di cattolici impegnati» non mi spaventa (tanto più che ho imparato dal Vangelo che è necessario sempre per tutti nascere di nuovo…).
Quello che non mi piace è il clima nel quale è maturato il convegno di Todi e soprattutto come si è cercato di strumentalizzarlo mediaticamente, con interpretazioni rovesciate persino dell’intervento iniziale del cardinal Bagnasco. Mi spiego. Non mi nascondo le difficoltà del momento, soprattutto se lette dal punto di vista dei cattolici impegnati nella società, ma mi permetto anche di rimarcare che non c’è bisogno di tornare ai tempi della Dc (alla quale peraltro ho appartenuto anche io) per trovare segni importanti di una politica cristianamente ispirata. Sono nel Consiglio regionale della Lombardia dal 2000, Roberto Formigoni ne è il presidente della giunta dal 1995 e in questi anni le politiche regionali – in mezzo come sempre anche a difficoltà e resistenze – hanno cercato di realizzare in scelte concrete quella cultura nella quale molti di noi sono stati educati, cattolica e capace di confrontarsi con ogni altra visione del mondo.
È una scelta politica concreta il fondo "Nasko" grazie al quale si apprestano a nascere oltre 1.500 bambini che avrebbero potuto essere abortiti dalle loro mamme per motivazioni economiche; lo è il buono scuola con cui da undici anni abbiamo cercato, praticamente unici in Italia in questa forma, di dare concretezza alla parità scolastica affermata dalla legge ma, come ben sappiamo, non riconosciuta nel suo valore economico. E sono scelte concrete i tentativi, più o meno riusciti, di affermare il principio di sussidiarietà come criterio delle diverse politiche regionali, a partire da quelle sanitarie e sociali e della formazione. Non dico queste cose per accampare meriti; ma semplicemente per ricordare che ogni riflessione, soprattutto tra cattolici, che non parta dal riconoscimento dell’esperienza in atto rischia di scivolare subito in una nuova ideologia di cui non si sente affatto la necessità. Sono tanti i cattolici, anche in questa Seconda Repubblica, che in diverse vesti hanno cercato nei Comuni come nelle diverse istituzioni di operare secondo l’insegnamento della Chiesa. Molte volte cadendo, molte volte sbagliando, ma tuttavia sempre tesi a un ideale che mai hanno abiurato. Non si può far tabula rasa di tutto questo. Perché non partiamo, allora, tra cattolici, anche da una seria riflessione sulle esperienze in atto per imparare a guardare con speranza al futuro, ma anche già al nostro presente che di speranza vera ha così tanto bisogno?
Giulio Boscagli