Opinioni

Cominciano le analisi sul voto di maggio. Quel test che ci illude di maneggiare l’esistenza

Benedetto Ippolito mercoledì 18 maggio 2011
Il day after di una importante tornata amministrativa non dura mai un solo giorno. Ma è dall’indomani esatto del voto che le analisi cominciano a farsi davvero approfondite. È un esercizio sempre assai utile, ma stavolta – in particolare in città come Milano e Napoli – addirittura indispensabile in vista di certi (inattesi) ballottaggi. Sebbene, infatti, non sia facile dare una valutazione d’insieme dei risultati, è abbastanza chiaro che il 15 e 16 maggio i cittadini-elettori non hanno scelto né la rottura irrazionale né la continuità compiaciuta. Laddove le città sono state ben amministrate – com’è il caso di Torino – l’opzione è stata inequivocabilmente a favore della stabilità (preferenza, peraltro, facilitata dal fatto che Piero Fassino è apparso subito un candidato serio e autorevole). Laddove, invece, vi sono stati dei problemi gravi come a Napoli, riguardanti sia la maggioranza sia l’opposizione, si è fatto largo sino a diventare secondo un candidato "terzo" come Luigi De Magistris, grazie anche alla sua capacità di catalizzare e rimotivare una parte della voglia di rinnovamento del capoluogo campano. È all’interno di questa logica complessiva che il voto milanese va interpretato. I conti finali tra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, ovviamente, sono ancora da fare. Si vedrà chi emergerà alla fine come vincitore. Ma, di certo, il segnale politico proveniente dalla Lombardia è una risposta infastidita a chi ha preferito impostare il dibattito sull’estremismo comunicativo piuttosto che sulle realizzazioni concrete (quelle già fatte o avviate e quelle da fare). La questione significativa, dunque, va persino oltre il pur cruciale numero di voti ottenuto da ciascun candidato e schieramento, e riguarda ciò che la gente comune non accetta più della politica attuale e vorrebbe vedere cambiato al più presto. Gli elettori scontenti, non a caso, non sono ricorsi allo spreco del voto. Non hanno manifestato cioè una dispersione "per disapprovazione", ma, utilizzando una legge elettorale che permette loro di farlo e che permette anche di esercitare il potere di preferenza su tutti i candidati alle assemblee elettive, hanno giudicato ragionevolmente dove potessero risiedere le garanzie per una migliore efficacia e una maggiore credibilità. Si badi bene, in un contesto del genere, non sempre chi è votato è ritenuto migliore. Talvolta l’indicazione serve solo per invocare e, per quanto possibile, accelerare un cambio di rotta. D’altronde, tutti abbiamo constatato in questi ultimi mesi troppo protagonismo e troppa concentrazione esclusiva a "vincere la guerra"; meno a giocare bene e con stile la partita, presentando progetti funzionali, idee nuove e utili per amministrare il territorio. La personalizzazione dello scontro è stata però stimata freddamente dall’elettorato, e l’uso mediatico del gettar discredito sull’avversario è parso ben al di sotto della serietà dei problemi che le persone vivono. La fondatezza dell’appello lanciato, già da qualche mese, dalla Chiesa italiana a una «rigenerazione» politica è emersa, in fin dei conti, come parere condiviso di un elettorato maturo ed esigente che ha dimostrato di distinguere il reale dall’apparente. Ora stilare la propria "ricetta per il futuro" appare compito necessario e urgente per tutti. E sale un’attesa chiara: più etica responsabile e più praticità operativa; meno scandali e spettacolarità inservibili. Il tempo delle valutazioni si è ormai aperto. Speriamo che sia un’occasione per tutta la classe dirigente di rettificare e mutare atteggiamento. La democrazia, infatti, evolve sempre e dappertutto, non soltanto in Africa e in Medioriente. E la politica o decide di guardare solo se stessa e di scomparire oppure può tentare di cambiare metodo e imparare dagli errori. Insomma, al di là delle improbabili profezie, degli squilli di tromba dei vincitori e dei dissimulati mea culpa dei perdenti, un grande lavoro resta da fare. Ritornare alle idee, recuperare il contatto con la vita reale delle persone e impegnarsi non a creare vuoto consenso, ma a interpretare la volontà e i bisogni concreti dei cittadini. Quest’ultimi, infatti, scelgono ormai attentamente, senza farsi incantare dalle favole.