Migranti. Quel salvataggio da record fa suonare forte la sveglia
La lunga, complessa e rischiosa azione di salvataggio del peschereccio con 440 persone, a opera della Geo Barents, condotta nei giorni scorsi, e la successiva efficace cooperazione con forze navali italiane, porta con sé conferme e novità. Tutte importanti, soprattutto nella prospettiva di un anno che si annuncia complicato sul fronte dei flussi di migranti e profughi sulle diverse direttrici di mare (e di terra).
La prima conferma è quella sulla preziosa e spesso insostituibile opera delle Ong. Senza la nave di Medici senza frontiere il soccorso non sarebbe stato possibile o sarebbe tardato con conseguenze drammatiche. Non lo potevano realizzare i due mercantili dirottati nella zona, troppo alti e grandi, inadatti ai soccorsi. Ricordiamo che il 13 marzo proprio l’intervento di un mercantile in acque libiche non era riuscito a evitare il naufragio di un barcone con 47 persone, 30 delle quali erano affogate.
A inviare stavolta i due mercantili sono state le autorità maltesi, competenti per i soccorsi in quell’area. Ed è stata l’unica azione svolta da La Valletta. E anche questa è la conferma di una situazione, che prima o poi la Ue dovrà affrontare. Malta non può ogni volta non rispondere o rispondere che non può intervenire. Per questo è stata così preziosa la decisione della Geo Barents di soccorrere, deviando di molto la propria rotta.
E qui c’è un’importante novità. Si tratta, infatti, del primo intervento di una Ong sulla rotta che parte dalla Libia orientale, Cirenaica, territorio in mano al generale Haftar (con l’appoggio della Russia). Finora le navi umanitarie si erano limitate a soccorsi sulle rotte dalla Libia occidentale controllata da Tripoli (con l’aiuto della Turchia) o dalla Tunisia.
Quella dalla Cirenaica è una rotta più lunga (anche 5-7 giorni), complessa, percorsa da natanti con centinaia di persone a bordo. Soccorsi, quindi, più lunghi e difficili soprattutto per le Ong. Quello dei 440 salvati dalla Geo Barents è oltretutto un vero record per le navi umanitarie. E il rischio di naufragi disastrosi su quella direttrice è in crescita. Nelle ultime settimane per questa via sono giunte sulle coste calabresi e siciliane più di 7mila persone, tutte soccorse dalla Guardia costiera o dalla Guardia di finanza (solo ieri più di 1.500), che, però, nel caso dei 440 non erano uscite in mare.
L’intervento umanitario delle Ong non può, dunque, che essere visto positivamente. Non è da ostacolare o addirittura punire, ma da riconoscere e coordinare. Anche perché l’approdo a terra non è facile da gestire. Ma la risposta non può essere unicamente securitaria e carceraria, tipo “un Cpr in ogni regione”, rilanciata dalla Lega nelle stesse ore in cui si provava a salvare i 440. Persone che pur di fuggire da guerre, violenze, persecuzioni, povertà, sconquassi climatici, sono disposte a viaggiare con centinaia di altri persino col mare in tempesta.
E una risposta non è neanche quella di allungare da 60 a 180 giorni la presenza in questi centri dove, almeno finora, non si rispettano umanità e dignità. Né di ridurre la concessione dei permessi di soggiorno per protezione speciale tornando a cosiddetti “decreti (in)sicurezza” del governo giallo-verde, quelli che la ministra Luciana Lamorgese è riuscita a modificare in parte e che servirebbe solo a sbatterebbe per strada migliaia di immigrati soccorsi e salvati. Già, non basta essere bravi, e lo siamo, a soccorrere e salvare, e la giornata di ieri lo ha dimostrato, se poi non accogliamo con umanità ed efficienza nell’interesse delle persone e del nostro Paese.