Opinioni

Quel prezioso appello dalle clausure: tantissime condivisioni e una macchia

Marco Tarqunio mercoledì 24 luglio 2019

Caro direttore,
sono un affezionato lettore e le chiedo di perdonarmi se le scrivo a proposito di un articolo non di 'Avvenire', ma ho bisogno di condividere anche con il mio giornale il dolore e il disgusto per un certo modo di polemizzare. Lunedì ho letto sul sito online del 'Giornale' un commento che ha banalizzato e travisato l’appello fatto da religiose di clausura a favore della solidarietà verso gli ultimi e contro la durezza di cuore che imperversa di questi tempi in Italia nei confronti di migranti e richiedenti asilo. L’ho trovato veramente vergognoso! Anni fa le claustrali venivano criticate perché considerate 'fuori dal mondo'. Oggi hanno operato un legittimo, cristiano appello dimostrando condivisione delle problematiche sociali e vengono ridicolizzate dai predicatori di odio sociale. Povera Italia! A ogni buon fine, è bene ricordare che i monasteri di clausura non sono mai stati blindati e chiusi al mondo: forse vi sfugge che durante la seconda guerra mondiale i monasteri hanno accolto e salvato centinaia di ebrei perseguitati e italiani ricercati dai nazisti. E anche ai tempi d’oggi i monasteri sono sempre aperti per accogliere, ascoltare e confortare persone in difficoltà e in disagio che bussano alle porte. Credo che ogni giornalista dovrebbe almeno documentarsi prima di scrivere e di esprimere valutazioni e commenti.

Antonio Latela

Capisco il suo sconcerto e la sua indignazione, caro signor Latela. Ma ci sono persone, e anche giornalisti, che pur di sfoderare un gioco di parole («Dalla clausura ai porti aperti») farebbero qualunque cosa. Persino fingere di ignorare – non riesco a credere che lo ignorino davvero – che conventi e monasteri di clausura sono da sempre luoghi appartati e consacrati alla preghiera, ma anche e tenacemente isole di bene nel mondo, capaci si soccorrere con l’invocazione a Dio e la concreta generosità la nostra povera umanità con quella carità che è Cristo stesso. Lei, gentile amico, ricorda giustamente senza andare troppo indietro nel tempo le clausure trasformate in rifugio per i perseguitati per motivi razziali e politici durante la cupa notte del nazifascismo. Era appena l’altro ieri, ma in un’Europa e in un’Italia troppo smemorate... Sono originario di Assisi, una delle città-simbolo di quell’impegno naturale eppure straordinario di altre 'sorelle d’Italia' claustrali, idealmente madri delle attuali, a favore di ebrei e ricercati che rischiavano la deportazione e la morte. Anche per questo conosco tutta la storia nei dettagli. Il collega del 'Giornale' avrebbe potuto avere a mente sia pure sommariamente quei fatti. Non avrebbero probabilmente cancellato i motivi del suo dissenso, ma forse avrebbero frenato l’ingiusto sarcasmo che ha sfoderato e magari fermato la scrittura più aggressiva. Peccato. Sono certo che le sorelle clarisse e carmelitane scalze lo hanno perdonato. Io sono molto meno buono di loro e francamente non riesco ad accettare che il corsivista del giornale che fu di Montanelli le abbia accusate di aver contribuito, proprio loro, a un dibattito «sguaiato». Un aggettivo inaccostabile alle firmatarie (intanto diventate molte di più) di quel testo luminoso. Bisogna saper leggere oltre che saper scrivere. La 'lettera aperta' che hanno indirizzato al presidente Mattarella e al premier Conte è una piccola parte della testimonianza umile, mite e fedele delle sorelle claustrali, è stata letta, compresa e condivisa da tantissimi, ma può anche non toccare i cuori di qualcuno. Tutti, però, dovrebbero rispettare le donne di Dio che l’hanno scritta.