Taleban e disastro occidentale a Kabul. Quel popolo abbandonato
E così anche la 'nostra' Herat è caduta: la città più bella e culturalmente più aperta dell’Afghanistan, che per quasi due decenni ha visto la presenza del nostro contingente militare e dei nostri cooperanti, ha seguito il destino di altre diciassette capitali provinciali: città strategicamente importanti, tutte conquistate in una sola settimana dall’impetuosa avanzata dei taleban, che si trovano ormai a meno di cento chilometri dalla capitale.
Non sembra più una questione di 'se', ma solo di quando i fanatici «studenti del Corano» entreranno a Kabul, riprendendosi il controllo di quel Paese e vanificando venti anni di sforzi internazionali. Un disastro ampiamente annunciato, che vede i Paesi occidentali affannarsi a fingere di non vedere il loro clamoroso fallimento. Avevamo promesso alla popolazione afghana stabilità, democrazia, sicurezza e lavoro; ma non siamo riusciti a costruire che un debole e corrotto sistema di potere che ha iniziato a sfaldarsi non appena abbiamo ritirato i nostri soldati.
Le Forze armate nazionali, forti sulla carta di centinaia di migliaia di uomini, si stanno letteralmente disintegrando, nonostante i molti anni di addestramento Nato, gli armamenti e il massiccio sostegno finanziario. Come avvenuto nel 2014 alle divisioni dell’esercito iracheno, liquefattesi dinanzi ai jihadisti di Daesh, così oggi le Forze armate afghane; una conferma ulteriore dei limiti spaventosi della nostra capacità di costruire istituzioni credibili e durature esportando i nostri modelli organizzativi.
Come sempre il prezzo maggiore lo pagano i civili: sono migliaia in questo mese i morti e i feriti, innumerevoli i profughi in fuga dalle vendette – fatte di torture, mutilazioni, brutali uccisioni – dei taleban. Una nuova catastrofe umanitaria per un popolo che non conosce che guerra e paura dal lontano 1979, anno del disastroso intervento sovietico per puntellare il governo rivoluzionario comunista afghano. E con un futuro prossimo che sembra cupissimo. Nonostante infatti i portavoce dei guerriglieri islamisti si affannino a mostrare un volto moderato, la brutalità da essi sistematicamente esibita nelle province occupate ci mostra la dura realtà che si prospetta.
A Doha, sede da anni delle trattative diplomatiche con i taleban, si cercano in questi giorni improbabili accordi dell’ultima ora. Ma perché mai essi dovrebbero accettare un compromesso ora che stanno vincendo militarmente?
Tanto più che Washington ha fatto esplicitamente capire che non intende schierare nuovamente uomini e mezzi, se non per evacuare la propria presenza diplomatica e di cooperazione. La verità amara è che Stati Uniti d’America e Nato hanno tradito la popolazione afghana, abbandonando donne e uomini al proprio destino. Un tradimento che rimarrà nella storia a nostra vergogna e che sembra vanificare i tanti, troppi morti che si sono avuti in questi vent’anni – fra la popolazione afghana come tra i nostri soldati –, le migliaia di miliardi bruciati, l’impegno di decine di migliaia di cooperanti e civili che si sono prodigati, credendoci, per migliorare il futuro di questo Paese.
Inutile anche sperare nelle divisioni della 'galassia taleban': per quanto frammentati ideologicamente e assetati di potere personale, marceranno uniti fino alla vittoria, dividendosi semmai dopo. E dato che in geopolitica il vuoto non esiste, lo spazio lasciato dall’Occidente verrà probabilmente riempito da altre potenze: la Cina innanzitutto, che sta trattando con i taleban.
Pechino, se essi rinunceranno a sostenere le rivendicazioni degli Uiguri e dei gruppi islamisti radicali, è pronta a inserire il Paese nel grande progetto della Belt and Road Initiative (la 'nuova via della Seta'), con cospicui investimenti infrastrutturali. Ma guardano all’Afghanistan anche la Russia e l’India, oltre che l’Iran e il Pakistan, il Paese che ha creato i taleban e li ha sempre sostenuti, a dispetto della proclamata amicizia con l’Occidente.
A nessuna di queste potenze interessa alcunché dei concetti di democrazia, libertà, difesa delle minoranze o delle donne. Con la parziale eccezione dell’India, del resto, sono i primi a non applicarle in casa loro. L’Afghanistan, amano ripetere gli storici, è da millenni il cimitero di tutti gli eserciti che abbiano osato avventurarsi in quegli impervi territori. Ma oltre a piangere i nostri morti e le troppe vittime afghane, in quelle terre riarse muore anche la nostra speranza di saper sostenere un popolo segnato dalle brutalità della storia nell’impegno per costruire un futuro migliore.