Da dove può emergere un nuovo ordine mondiale per l’economia globalizzata, quella che in pochi secondi sposta cifre astronomiche da un capo all’altro del Pianeta e, con la stessa rapidità, può fare evaporare miliardi di dollari dalle Borse, condannando al fallimento aziende e mettendo sul lastrico lavoratori e risparmiatori? Alla domanda – la più alta, la più impegnativa, ma per alcuni aspetti anche la più retorica – sono chiamati a dare risposta in quattro mesi gli esperti del G7, dopo l’impegno sottoscritto sabato a Roma dai leader delle nazioni più industrializzate. «Una sfida affascinante, tecnicamente, moralmente e politicamente», l’ha definita il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. «Bisogna preparare qualcosa di simile a nuova Bretton Woods», gli ha fatto eco l’ex premier Romano Prodi, richiamando il grande accordo monetario che nell’immediato dopoguerra garantì stabilità e favorì la strabiliante crescita dei decenni postbellici. La crisi di oggi – forse la più grave dal 1929 – sembra mettere tutti d’accordo sulla necessità di una ripartenza, con nuove regole e rinvigoriti afflati etici. Che qualcosa non abbia funzionato nella finanza liberista degli ultimi anni, che esista attualmente un deficit di fiducia dovuto agli eccessi del passato, che gli stessi meccanismi del mercato siano rimasti vittime di un grippaggio sono constatazioni ampiamente condivise. Quando, però, si tratta di guardare avanti e di scrivere norme diverse ci si scontra con la difficoltà di passare dalle enunciazioni di principio alle concrete misure operative. Al capezzale del malato tutti sono grandi dottori, se tuttavia bisogna incidere il bisturi nel tumore le mani cominciano a tremare. Non tremava, invece, la penna del Papa quando ha vergato il suo Messaggio per la giornata mondiale della pace 2009, né erano esitanti gli estensori della Nota della Santa Sede su finanza e sviluppo, redatta dal Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace nello scorso novembre. Basta ridurre i compensi astronomici dei top manager, misura moralizzatrice di cui molto si parla di qua e di là dell’Atlantico? Non pare proprio. Nel minuscolo Stato Vaticano non risiedono banchieri centrali né economisti di vaglia internazionale; eppure, in quei due documenti è distillata un’incisiva saggezza antropologica coniugata con un realismo che non fa sconti alla drammaticità del momento. Benedetto XVI evidenzia i «contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari basati su una logica di brevissimo termine, che persegue l’incremento del valore delle attività e si concentra nella gestione tecnica delle diverse forme di rischio». L’analisi di Iustitia et Pax, dal canto suo, sottolinea «l’orizzonte temporale degli operatori appiattito sul presente» e il ruolo decisivo dei mercati 'offshore', paradisi fiscali senza controlli, in cui sarebbero 'spariti' 860 miliardi di dollari l’anno, con una sottrazione di gettito per le casse pubbliche di 255 miliardi. Ebbene, bastano poche frasi, tratte da articolati documenti, per capire che se l’obiettivo è quello di costruire un sistema economico solido, che guardi allo sviluppo corretto e integrale, senza sfruttare o escludere intere aree della Terra, non si può pretendere di avere tutto. Non è cioè possibile continuare a servirsi di quegli strumenti finanziari ad altissima pericolosità potenziale che hanno alimentato il boom recente e, nello stesso tempo, chiedere etica e regole severe; non pare praticabile ridisegnare i confini di ciò che è saggio e lecito e aspettarsi credito facile e a buon mercato come se nulla fosse accaduto. Certo, non vi è nessun obbligo di disegnare un nuovo ordine planetario. Ma quando si lancia un proclama di quel genere sarebbe meglio specificare che «nessun pasto è gratis», come ripeteva Milton Friedman, proprio uno dei guru del liberismo. Per un mondo meno soggetto alle tempeste e una globalizzazione più giusta – il Papa l’ha detto con chiarezza –, c’è un prezzo da pagare. Per top manager e comuni cittadini, azionisti e lavoratori, seppure in diversa proporzione. Un costo, che a nostro avviso, vale la pena di sopportare.