Opinioni

Un fenomeno che interroga e chiama a pellegrinaggio. Quei giorni a Medjugorje imparando preghiera e sorriso

Riccardo Maccioni giovedì 23 giugno 2011
Nella stanza, grande e spoglia, faceva così freddo che dormivamo vestiti. Ci infilavamo nel sacco a pelo con i jeans e il maglione, qualcuno persino con il cappuccio calato sugli occhi. Al mattino pane con caffè nero e le mani a scaldarsi al fuoco della stufa in cucina, vicino alla sedia di "baba", la nonna. Ospiti di una delle presunte veggenti, il "nostro" indirizzo era conosciuto da tutti i pellegrini. Così un giorno, malgrado la timidezza o forse proprio per quella, toccò a me dissuadere i più ostinati. «La persona che cercate non può venire», dicevo a chi insisteva, ma quasi sempre bastava un sorriso.A ripensarci, quelle vacanze di Natale a Medjugorje sono state un grande dono. Eravamo negli anni Ottanta con il Muro di Berlino in piedi e il villaggio ancora contadino, lontano parente della florida e, mi dicono, un po’ artefatta cittadina di oggi. Ricordo che misuravamo le distanze usando lo strano metro della preghiera. Sei decine di Rosario per arrivare in chiesa, la metà, forse meno, per andare a prendere Patrizia. La nostra amica era ospite di una casa a due piani. L’aspettavamo intonando improbabili serenate e battendo il tempo con i piedi. Sento ancora nelle orecchie il «silenzio!» gridato dal gruppo diretto a Messa. Ma erano pellegrini "stranieri", la gente del posto invece apprezzava, faceva schioccare le dita e rideva. Tanto che ci chiesero di vivacizzare la notte di Capodanno in una specie di casa famiglia: mangiammo poco e bevemmo ancora meno, però ci divertimmo tanto. Proprio la gioia delle piccole cose, la fede semplice, sono il ricordo più vivo di quei giorni. Tra gli abitanti di Medjugorje non c’era fanatismo, semmai lo stupore di essere proiettati all’improvviso sul palcoscenico del mondo, ambita "preda" di milioni di pellegrini, tra cui tanti infervorati al limite del patologico. Noi non correvamo quel rischio e ricordo lo stupore di qualche compagno di viaggio nel sentirmi dire che dopo la Messa, tutti quei Rosari e la Via Crucis avevo bisogno di silenzio, e di farmi un giro. A casa però mi sono portato tante scoperte preziose: una nuova consapevolezza sull’importanza della preghiera, la bellezza di essere comunità e un pizzico di benevolenza in più verso le persone che incontro. Mi aiuta le volte in cui sento crescere l’angoscia e le ferite che portiamo dentro gridano e fanno star male. «Offri tutto», ridevamo nel nostro piccolo gruppo di amici e lo ripetiamo anche oggi che l’entusiasmo ragazzino ha ceduto il passo al maturo disincanto degli adulti. Da quel Natale sono passati migliaia di giorni, addirittura trent’anni dal 24 giugno 1981, data della prima presunta apparizione.Non so se la Vergine si faccia vedere davvero in Bosnia Erzegovina e in fondo per la mia, la nostra fede, non è fondamentale. L’altro giorno però, inaspettato, da Medjugorje è arrivato a casa un leggio in legno pensato per una Bibbia aperta. Un richiamo alla centralità della Parola rispetto alle tante, troppe letture inutili che occupano la mia giornata. Lo metterò in un posto bene in vista per ricordarmi che nel Vangelo si trova la risposta a tutte le domande e che il Signore parla a ciascuno, ogni giorno. Siamo diversi l’uno dall’altro è vero, ma le domande più profonde sono le stesse. Così come la speranza, ma forse è una certezza, che nella vita che verrà ci sia un volto di Madre. E che sappia toccarci il cuore allo stesso modo di una mamma con suo figlio, che colora di affetto anche il rimprovero per trasformarlo in benedizione.