Il direttore risponde. Quattro strade per porre fine in Libia a guerra e ingiustizia. Facendo la pace
Caro direttore,
la tragedia di tante persone morte nel Mediterraneo e l’aggravarsi delle violenze in Libia confermano il fallimento della politica europea e italiana nei confronti del fenomeno migratorio. Stanno esplodendo violenze favorite e aggravate dalla comune irresponsabilità. Ora nella spaccatura tra due governi (Tripoli e Tobruk) si inserisce la violenza dell’Is e di altre bande armate. Chiare sono le parole del vicario apostolico di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli: «Abbiamo pensato a prendere il petrolio, ai nostri interessi, e ci siamo dimenticati del dialogo umano, sincero, tra le parti». Non ci sono parole per definire la crudeltà e la follia dei miliziani dello Stato islamico che ha portato anche all’uccisione di 21 copti egiziani, «uccisi in quanto cristiani», ha sottolineato papa Francesco. Ma dare inizio a un’altra guerra significherebbe aumentare l’orrore, aiutare il terrorismo, produrre altri profughi, viaggi disperati gestiti dalla malavita. Per questo, anche secondo me, occorre affrontare alcune questioni. 1) Aprire corridoi umanitari. Costruire misure che facilitino l’arrivo in sicurezza dei migranti, tagliando il loro legame con la criminalità che sfrutta e uccide le persone che lasciano i propri Paesi e partono per l’Europa proprio dalla Libia. 2) Evitare gli errori del recente passato (2011). L’Italia in Libia ha già dato, sul piano degli interventi militari. Ne vediamo le conseguenze: distruzioni delle strutture amministrative, caos armato e terrorismo spietato contro il quale poi si invoca come “inevitabile” la guerra con una propaganda ben orchestrata. 3) Bloccare la vendita delle armi e ogni rapporto con chi aiuta l’Is, chiamando chi lo guida a rispondere dei suoi atti davanti al Tribunale Penale Internazionale. 4) Riunire i libici attorno a un tavolo, favorire la diplomazia e la cooperazione, coinvolgere l’Unione Africana. L’unico eventuale intervento esterno potrebbe essere quello di un contingente di “polizia internazionale” previsto dalla Carta dell’Onu. Solo il primato della politica può fermare l’orrore, ridurre il dolore, costruire ponti.
Sergio Paronetto, Pax Christi