Nuovo anno. La vera Italia dell'umanità accogliente. Quattro motivi per sperare
Nel suo Rapporto 2018 Amnesty International chiude il severo capitolo dedicato alle politiche migratorie italiane con un cenno di speranza: la vede incarnata nei cittadini e nelle associazioni che si sono organizzate per opporsi alla xenofobia e per offrire assistenza a rifugiati e migranti. Il caso della mobilitazione di Lodi a favore dei bambini di famiglie immigrate esclusi dalla mensa è forse quello che negli ultimi tempi ha riscosso più interesse, ma questo giornale ha dato voce in molte occasioni alle iniziative di solidarietà sorte in tutta Italia: pensiamo per esempio all’accoglienza diffusa dei rifugiati giunti con i "corridoi umanitari" dal Vicino Oriente e dall’Africa, alle tante scuole d’italiano, ai doposcuola associativi e parrocchiali che seguono i ragazzi di origine immigrata. È importante sottolineare la varietà delle esperienze, dei soggetti e delle motivazioni che si sono attivate sotto la bandiera dei diritti dei migranti.
Non si tratta di élite cosmopolite e senza radici, ma di soggetti collettivi radicati nella società e di tanti cittadini normali e senza etichette.
È il caso, però, di approfondirne maggiormente i diversi profili. Credo infatti che questo complesso di attori possa essere suddiviso in quattro categorie.
La prima è costituita dalle Ong e da altri operatori strutturati e specializzati nel settore umanitario. Sono protagonisti dell’offerta di servizi dedicati, che spaziano dal salvataggio in mare all’accoglienza a terra. Hanno lavorato per diverso tempo in accordo con i Governi, ma possono coltivare visioni, valori e priorità non allineate con quelle dei poteri pubblici, agendo secondo codici, quelli dei diritti umani universali, che possono divergere dalle politiche degli Stati. La veemente campagna contro le Ong ha fondamentalmente questa motivazione: non accettano di ridursi a docile strumento della politica.
La seconda categoria è formata dalle organizzazioni della società civile che intervengono in vario modo sulle questioni dell’immigrazione e dell’asilo, pur non essendo specializzate in tale ambito o rimanendo prevalentemente nell’ambito del volontariato. Spesso combinano servizi operativi con azioni di sostegno e sensibilizzazione a livello politico e culturale. Rientrano qui i sindacati, le istituzioni religiose, le associazioni di volontariato. Per esempio le mense e gli empori solidali, così importanti per le famiglie in difficoltà e i rifugiati esclusi dall’accoglienza. Queste realtà impiegano personale retribuito, ma soprattutto volontari, talvolta cooperando con i poteri pubblici, altre volte compensando con i loro servizi le carenze dei sistemi di accoglienza. Come negli Stati Uniti, spesso si sentono in obbligo di assistere anche immigrati in condizione irregolare, per esempio presso gli ambulatori del volontariato.
Una terza categoria di attori è rappresentata dai movimenti sociali, portatori di istanze politiche radicali di protesta contro lo Stato e il sistema economico capitalistico. Sono particolarmente attivi nelle dimostrazioni contro le campagne xenofobe, ma non si limitano a questo. La novità consiste nel fatto che oltre a realizzare manifestazioni politiche, i movimenti sociali in vari casi si sono organizzati per fornire servizi materiali e immateriali ai migranti in difficoltà, come cibo, accoglienza, socializzazione, assistenza legale e burocratica. Un’evoluzione importante.
In quarto luogo, si possono distinguere singoli e gruppi che si sono attivati spontaneamente a livello locale per fornire servizi ai richiedenti asilo, temporaneamente accolti oppure in transito: per esempio i gruppi attivi per diversi mesi alla stazione Centrale di Milano, o quelli che in maniera diffusa sul territorio, e perlopiù in modo informale, offrono lezioni di italiano o propongono attività sportive, musicali, di animazione del tempo libero ai richiedenti asilo. Anche molti cittadini singoli, senza etichette e senza gruppi di riferimento, si mobilitano localmente per aiutare come possono immigrati e rifugiati.
Nel tempo di Natale, a questo "esercito del bene" va un pensiero di gratitudine. Insieme alla speranza che altri si uniscano a loro, facendo prevalere le ragioni dell’umanità sulla politica delle chiusure e dell’inimicizia.
Sociologo, Università di Milano e Cnel