Il direttore risponde. Né dogmatici né ambigui
Giovan Sergio Benedetti, Capannori (Lu)
Già, «nessuno può staccare la spina a cuor leggero», gentile signor Benedetti. E quando non c’è neanche una spina da staccare, ma solo un sondino di alimentazione da negare? E quando non c’è neanche il sondino, ma una mano che accompagna un’altra mano? E quando la capacità di relazione e di interazione della persona malata diventa per noi non percepibile o non rilevante o fastidiosa secondo i canoni della "normalità" (o della comodità)? E quando la scienza che indaga sugli stati di coscienza ci spiazza – e lo sta facendo a ripetizione – rivelando aspetti inaspettati e nuovi anche a proposito delle cosiddette condizioni vegetative? Per questo l’essere «non dogmatici» – lo sforzo che lei, da non credente, ci riconosce – è l’unico atteggiamento serio quando ci si accosta per malattia o per amore, per esperienza e per ragionamento all’infermità e alla disabilità nelle sue forme più dure; quando ci si affaccia all’estrema frontiera della morte (che per noi cristiani è appunto solo questo: una cruciale frontiera, irripetibile proprio come la vita, e non la fine del viaggio). Per questo sono convinto, e sperimento, che è necessario e utile a tutti – a chi crede e a chi non crede – essere risoluti e niente affatto ambigui nel dire non slogan d’occasione e ideologici mantra, ma parole piane e semplici sulla dignità e sul valore di ogni istante di vita. Quanto ai «criteri oggettivi per stabilire quando c’è vita e quando vita non c’è più», se siamo appunto oggettivi, caro amico, possiamo riconoscere che già oggi ne abbiamo. E che sono condivisibili e, infatti, ampiamente condivisi. Questi princìpi sono alla base, per esempio, di una buonissima legge dello Stato italiano, quella che regola la benedetta generosità della donazione di organi. Quel positivo impianto e quei prudenti e saggi criteri sono, com’è noto, discussi da qualcuno ma considerati validi da quasi tutti. E anche dalla Chiesa. (mt)