Opinioni

Dal medico stregone per far vincere i figli. A tutti i costi. Quando i piccoli campioni hanno un papà di nome doping

Massimiliano Castellani giovedì 9 giugno 2011
Mio padre e mia madre, quando d’estate si andava in vacanza al mare, a Rimini – Pensione Edera, una stella – se mi comportavo bene, alla sera come premio mi portavano nel meraviglioso mondo di Fiabilandia. Oggi esistono papà e mamme che se il figlio fa il «bravo nello sport» gli fanno fare un giro nelle giostre dopatissime di "Anabolandia". Si chiama così l’ultima inchiesta condotta dai Nas di Bologna che fa luce sul solito pozzo nero, senza fondo, dello sport vittima del doping. E se non stupisce neppure più che in quel pozzo ci siano finiti atleti incoscienti – professionisti o dilettanti poco cambia –, medici stregoni, farmacisti senza dignità, fa invece notizia, oltre che molto male, il fatto che i "procacciatori" di sostanze illecite erano i genitori.Chi sono gli indiziati e, in questo caso, i traditori? Le prime persone che si chiamano e si amano da quando si viene al mondo e delle quali un figlio dovrebbe fidarsi ciecamente, specie quando gli viene proposto – in questo caso con l’inganno –, di prendere qualcosa per il bene del suo fisico e per un futuro radioso ed economicamente migliore. Può, quello stesso genitore, che di solito invita il figlio a evitare di bere alcolici al sabato sera o di non fumare spinelli con gli amici, portarlo da un medico perché gli prescriva la "pozione magica" per avere maggiore resistenza fisica e superare gli avversari, su un campo di tennis, di calcio o in una corsa ciclistica? È incredibile, eppure sì può. È successo. E non è escluso che stia accadendo anche in questo momento in un altro studio medico.Nell’ambulatorio del poco regale dottor Vittorio Emanuele Bianchi, dove di solito i pazienti vanno a farsi prescrivere le ricette per curare le malattie, i genitori di ragazzi, spesso minorenni, andavano a farsi dare quella pozione magica per vedere crescere i loro pupilli sempre più forti e vincenti. Il monumento del basket nazionale Dino Meneghin, citando un coach americano, ricordava che l’unica vera ricetta per diventare dei campioni è: «Allenamento, allenamento e ancora allenamento». Per questi assurdi genitori compiacenti e il loro medico-stregone, la ricetta si basava su: Stanozolo, Gonasi, Omnitrope, Andriol, Synachten... Sono ormoni della crescita, farmaci per aumentare il testosterone, sostanze che vengono prescritte solo quando c’è da curare delle patologie, anche gravi. Ma qui parliamo di ragazzi giovani, forti e sani, e di patologico c’è solo la follia di quel padre che addirittura induceva a prendere la sostanza dopante alla figlia ciclista professionista e al figlio amatore, con l’accortezza, "paterna", di far somministrare alla prima dell’Epo e al secondo il testosterone. Siamo di fronte a tragedie famigliari, in cui, oltre a infrangere le regole basilari dello sport che non ammettono "aiuti farmacologici", si sconfina nel campo dell’assuefazione da sostanza, quindi nella "tossicodipendenza sportiva". E a tutto questo, un padre e una madre arrivano soltanto se accecati dall’insana volontà di potere, fama e denaro che possono ricavare dal loro piccolo "fenomeno" domestico.Uno su mille ce la fa (nel calcio la media sale ancora, e di molto) tra i giovani atleti a diventare un campione titolato, ricco e famoso, mentre migliaia sono i genitori che si illudono che quello potrà, e anzi, dovrà, essere il proprio figlio. E tra queste migliaia di apparenti papà e mamme esemplari, c’è chi insegna tutti i giorni a quel figlio che l’importante nella vita è arrivare primi, vincere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo. Anche barando o facendosi del male, se è necessario, ma vincere. A Fiabilandia, ieri ci divertivamo, eravamo felici insieme ai nostri genitori, anche senza mai aver vinto niente. Ad "Anabolandia", oggi, si è tristi anche quando si vince, perché si è dopati e senza più un genitore a indicare il vero traguardo da tagliare nella vita.