Opinioni

Il direttore risponde. Pubblico non è sinonimo di statale, pure a scuola. Giannini lo fa capire

Marco Tarquinio giovedì 5 marzo 2015
Gentile direttore,è abbastanza curioso che, pur con un debito astronomico sul groppone, in Italia soprattutto da parte di alcuni settori politici e di diversi opinionisti si continui a osteggiare la scuola paritaria che costa un mezzo o un terzo della scuola statale, che tante famiglie che pagano le tasse e sono poco abbienti vorrebbero poter scegliere liberamente.  Per evitare che la scelgano si preferisce poi, complici molti suoi colleghi giornalisti, innalzare polveroni di disinformazione. È anche imbarazzante sentire commentatori che si dolgono delle perdite delle Società municipalizzate che trattano acqua, rifiuti e trasporti per cui vorrebbero una sana concorrenza, “come si fa in Europa”… ma per la scuola no. Qui solo “scuola di Stato”! Curioso no? Valter Boero, Università di Torino  Caro direttore, insegno da dieci anni ed è la scuola paritaria che mi ha dato un lavoro dignitoso per tutto questo tempo, permettendomi di costruire una professionalità e di essere contento. La mia non si può definire una “paritaria di lusso” e io guadagno meno dei miei colleghi nello Stato (magari più anziani) ma certo (con più precariato alle spalle) non lavoro meno di loro. Le famiglie della scuola devono pagare una retta che copre solo in parte le spese che si creano ogni anno, e molte famiglie ricevono degli sconti se affrontano periodi di difficoltà economica. Non è una scuola nata per fare soldi, non esiste «per dare un titolo di studio» a pagamento, non nasce «per dare una via di fuga a chi non se lo merita». L’unica cosa che abbiamo in meno della scuola statale è il cosiddetto “personale non docente”: nessun Ata, nessun gruppo di bidelli, nessun “tecnico”... il personale di segreteria e di manutenzione è ridotto all’osso, nessuno osa prendere giorni di malattia “strani” e comunque tutti, qualunque sia la loro mansione, nutrono un certo rispetto per l’altro, per gli studenti e i loro genitori, che si manifesta nel tratto quotidiano fermo e gentile. I ragazzi che la frequentano sono figli di genitori onesti, che pagano le tasse, come molti genitori di scuola statale. Quella dove insegno è insomma una scuola che chiede solo di avere la possibilità di educare – un’educazione aperta alla libertà dell’altro – secondo valori di riferimento trasparenti e forti, capaci di salvare la persona e la società dal vento freddo e desolato del relativismo conformista: valori come legalità, cultura del lavoro, del bello-bene, della reciprocità. Valori “pubblici”, di cui è intrisa la nostra Costituzione. Sogno una scuola paritaria sociale, che sia in grado di offrire un servizio base equivalente a quello statale e a costo zero per l’utente finale, dove lo Stato – il nostro amato Stato democratico – coltivi il suo ruolo di garante, di ispettore, di sostenitore della libera iniziativa, laddove questa incontri i bisogni dei suoi cittadini – ma che non si crea conflitti di interesse accollandosi un monopolio scolastico che si autodistrugge sempre di più, perché fuori dal suo controllo e da quello di presidi e docenti. Per questo mi auguro che il governo Renzi, il premier stesso e il ministro Stefania Giannini, e la maggioranza dei parlamentari sostengano la possibilità di detrarre fiscalmente le rette pagate nelle scuole paritarie, a condizione che queste si impegnino a offrire un servizio accessibile a tutti e di qualità, nei limiti dei costi standard. Fabio Carpenedo, Buccinasco (Mi)  Gentile direttore, nel mio Veneto, due bambini su tre frequentano le materne paritarie, che in moltissimi Comuni sono l’unico servizio presente sul territorio, sono sorte per rispondere a bisogni educativi, espressione delle comunità e da queste istituite nel tempo. Le 1.089 scuole sono gestite da parrocchie, associazioni di genitori, istituti religiosi (più circa 100 direttamente dai Comuni). Nelle paritarie il costo di gestione annuo per bambino è di 3.000-3.100 euro, coperto per oltre il 50% dalle rette dei genitori. Nelle scuole materne statali e comunali, i genitori pagano solo il pranzo (80-85 euro al mese), con costi di gestione di circa 6.000 euro per la statale e di 5.000 per la comunale, pagati dai contribuenti con le imposte. La differenza di retta a carico delle famiglie (60/80 al mese) penalizza i genitori che scelgono le paritarie, nonostante la Costituzione all’art. 33 comma 4 richiami a un trattamento «equipollente». Bisogna davvero arrivare a un sistema per il quale le famiglie possano scegliere liberamente, a parità di costo, l’offerta formativa per i loro figli. Credo sia maturo il tempo per mettere da parte i pregiudizi e riconoscere l’importante ruolo, all’interno di un servizio nazionale scolastico integrato e pubblico, esercitato dalle scuole paritarie. Grazie per l’attenzione e complimenti per “Avvenire”. Romano Spillari, Zevio (Vr) Tra le molte, cari e gentili amici, ho scelto le vostre tre lettere perché le riflessioni che sviluppate e le conclusioni a cui giungete sono così ben argomentate che mi risparmiano di tornare su punti chiave della questione istruzione, che da figlio di insegnanti (e da insegnante io stesso per un brevissimo periodo) sento con una passione e una libertà che da sempre non fa differenze tra scuola statale e scuola non statale paritaria, strumenti con la stessa dignità e gli stessi doveri dello stesso servizio pubblico d’istruzione regolato dalla legge della Repubblica. Cosa, quest’ultima, che troppi ancora non sanno o fanno finta di non sapere o di non capire… Ma che il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, interpretando con lucidità e coraggio l’impegno programmatico prioritario per la scuola italiana assunto un anno fa dal premier Renzi davanti al Parlamento e all’intera opinione pubblica, ha dimostrato di avere ben chiaro sin dal suo primo mettersi al lavoro per quel progetto di valorizzazione e riforma del sistema nazionale di istruzione che avrebbe poi preso il nome di “Buona scuola”.Le vostre tre lettere, cari amici, si integrano perfettamente, mettendo in luce l’assurdità del pregiudizio anti-paritarie di coloro per i quali quando si parla di istruzione – e magari, come fa notare il professor Boero, non di altri servizi essenziali – “pubblico” diventa ringhiosamente sinonimo di “statale”. Non è così ovunque, e soprattutto non lo è in questo Paese che è patria da secoli, e con particolare intensità in questo tempo di ripensamento e ripiegamento del vecchio e ormai insostenibile welfare, di un’idea e di una pratica di “privato sociale” (non profit, o profit con l’anima) davvero preziose e persino esemplari, come sottolinea il professor Carpenedo, per motivazioni culturali e per adesione ai grandi valori della nostra Costituzione. Non è poesia, ma fatica quotidiana per far quadrare bilanci e rispondere alle attese di tante famiglie, purtroppo non di tutte quelle che lo vorrebbero e lo meriterebbero. I rapidi conti fatti da Romano Spillari aiutano a capire meglio. Ma il ministro Giannini, lo ripetiamo, ha già capito molto bene. Lo conferma la scelta di introdurre uno strumento (detrazioni fiscali ben calibrate) che finalmente cominci ad aiutare in modo concreto le famiglie nelle spese sostenute per la formazione dei propri figli in tutta la scuola pubblica (statale e paritaria senza differenze, appunto, come sta scritto nella legge Berlinguer). Ed è molto importante che si susseguano – oggi pubblichiamo la terza lettera della serie, dopo 44 deputati di maggioranza e una quarantina di parlamentari italiani ed europei di Fi, è la volta di venticinque senatori del Pd – appelli che dal Parlamento vengono rivolti al Governo Renzi, perché proceda con serena determinazione su questa strada. È una scelta di giustizia e di libertà.