Opinioni

Dopo il grande sisma: i soccorsi. Prova e lezione per l'umanità

Fulvio Scaglione mercoledì 8 febbraio 2023

La disperazione della Turchia e della Siria, i due Paesi più duramente colpiti da uno sciame di scosse telluriche che in realtà ha investito parte importante del Medio Oriente, facendosi sentire fino in Israele e in Iraq, sta nelle immagini delle città sconvolte e distrutte, delle famiglie spezzate, dei volti di chi tiene la mano di una persona sepolta dalle macerie nella speranza di vederla riemergere viva.

Ha fatto il giro della Rete il video in cui ad Aleppo, dai resti di una casa crollata, viene estratto un neonato, partorito dalla mamma proprio durante il terremoto e miracolosamente salvo. Tale disperazione,

però, sta anche nei numeri di una risposta inevitabilmente impari alla bisogna. Il presidente turco Erdogan ha detto che sono al lavoro 53mila uomini, dei quali 28mila sono agenti delle forze dell’ordine, certo non preparati a interventi di questo genere. Di quel che succede in Siria per i soccorsi si sa poco. Ma il Paese è nel dodicesimo anno di guerra, il 90% della popolazione vive in stato di povertà (dati Onu), le infrastrutture sono dilapidate dal conflitto, dalla corruzione e dalle sanzioni.

Le zone più colpite, Aleppo e Idlib e le rispettive province, sono quelle più travagliate, quelle in cui si confrontano tuttora truppe siriane, turche, russe e americane, oltre alle formazioni del terrorismo islamista e dell’indipendentismo curdo. Un colpo di questo genere sarebbe stato difficile da reggere anche per Paesi molto più forti e preparati. In questa parte del mondo è una tragedia che richiederà anni per essere metabolizzata e superata. Dobbiamo però riconoscere, e non era scontato, che all’enormità del dolore e dei problemi sembra corrispondere un’onda di solidarietà internazionale degna di tal nome. L’Onu e l’Unione Europea. La Nato, che per diverse ragioni ha rapporti da sempre gelidi con la Siria e ultimamente burrascosi con la Turchia che sta giocando duro sull’adesione all’Alleanza di Svezia e Finlandia. Paesi amici delle vittime (l’Iran e la Russia per la Siria, l’Azerbaigian per la Turchia) e Paesi nemici tra loro come la Russia e l’Ucraina, i cui tecnici potrebbero dover collaborare tra i palazzi crollati.

Paesi con cui la Turchia ha appena riallacciato le relazioni diplomatiche come Israele e altri con cui ha a lungo polemizzato come la Germania, dove il cancelliere Scholz ha subito pronunciato l’avverbio più bello e necessario: «Ovviamente daremo tutto l’aiuto possibile». E l’Italia, tra le prime ad accorrere e a muovere i suoi specialisti, la Polonia, la Francia, la Spagna. I grandi e potenti come India, Cina e Usa, i piccoli e ricchi come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar. È la risposta che ci voleva, che volevamo, in un mondo che a tratti sembra vivere una sorta di impazzimento collettivo. Uno slancio istintivo, e per questo prezioso, quando la difesa della vita in pericolo supera di nuovo, e finalmente, ogni altra considerazione. Sarebbe importante, però, che questa esperienza non si disperdesse una volta superata la prima emergenza. Anche perché, per affrontare al meglio la tragedia che ha sconvolto Turchia e Siria, bisognerà lavorare su blocchi e ostilità su cui la politica è riuscita a far poco negli ultimi anni.

La Turchia, che rivendica da tempo un ruolo di autonomia e di potenza con un piglio che non le ha procurato molti nuovi amici, dovrà lasciarsi aiutare per esempio dalla Grecia, che si è generosamente fatta avanti nonostante le minacce che i due Paesi si sono scambiati anche di recente, o dagli Usa, il cui ambasciatore è stato qualche giorno fa invitato a «tenere a posto le sue sporche mani» dal ministro dell’Interno turco Suleiman Soylu. Non solo. Nel disastro siriano anche la Turchia ha giocato il suo ruolo. E ora, gran parte del Nord della Siria investito dal sisma è sotto il suo controllo. Toccherà soprattutto ad Ankara lasciar passare eventuali aiuti verso la Siria, senza discriminare tra le zone gestite dai suoi alleati e quelle eventualmente popolate dai “nemici” curdi. E Assad, nel caso, permetterà che il suo popolo sia aiutato da nazioni che da sempre considera nemiche? E queste, come ormai chiedono molte voci, tra cui spicca quella della Comunità di Sant’Egidio, saranno pronte ad allentare le sanzioni in nome di una superiore umanità? Se c’è un momento in cui superare divisioni che si scaricano in gran parte su gente innocente, è questo. Se c’è un’occasione per riflettere sugli sbagli e sulle opportunità, sulla guerra e sulla pace, è proprio quella che viene da un immane disastro naturale, Una tragedia che potrebbe colpire qualunque popolo e qualunque Paese. Ai politici delle nazioni il dovere di non sprecarla. A noi la speranza che ciò avvenga.