Caro direttore,stupirò qualcuno, ma io penso che un sacerdote, se ce lo fanno stare, ci deve essere anche con le truppe che sono impegnate in "carneficine". Scrivo «se ce lo fanno stare», perché naturalmente non potrebbe tacere e dovrebbe impegnarsi a chiarire ai soldati che cosa tutti loro possono o non possono fare, anche a rischio della vita (che rischiano comunque ogni giorno). Detto questo, ritengo che quello che anche noi italiani stiamo facendo in Afganistan sia una guerra infame, perché è una guerra che non divide (e non può dividere) tra civili e militari, tra bambini e combattenti. È una guerra fatta così, tecnicamente. Dalla seconda guerra mondiale in poi le guerre sono innanzitutto contro i civili. Trovo retorico l’appello dei sacerdoti "pacifisti", e lo dico io che sono personalmente antimilitarista in modo radicale e senza discussioni: fate quel che volete, senza il mio consenso (se potessi taglierei il mio contributo fiscale della quantità di spesa militare italiana). In ogni caso, direttore, non si può dire che, oggi, i nostri soldati fanno «azioni di pace», e non si può dire, perché non è vero! L’unica occasione in cui è stato vero è stata la famosa spedizione in Libano (nei primi anni Ottanta), che infatti fu conclusa rapidamente perché quel che interessava non era la pace, ma la guerra. Per il resto gli italiani sono andati come sono andati tutti gli altri. A uccidere chiunque capitasse a tiro e senza dover e poter distinguere tra civili e militari. Così è successo in Iraq (dove il maggior contributo alla islamizzazione del territorio iracheno e alla cacciata dei cristiani da quel Paese l’hanno dato truppe assistite da preti cristiani e, anche, cattolici). Così è successo in Somalia. Così succede oggi in Africa, in Congo, dove le truppe Onu servono a garantire che il furto di energia perpetrato contro quelle popolazioni continui, come il saccheggio delle risorse. Siamo assassini, caro direttore, lei e io siamo assassini oggi, insieme ai nostri soldati italiani. E la presenza di preti non ci salva. Solo la misericordia di Dio e la grandezza del suo amore troveranno strade per salvarci da questo disastro. Per questo pregare, anziché scrivere lettere (lo ammetto), è la cosa più santa che si possa fare. Lei, in sovrappiù, può anche dire la verità.
Raffaele Ibba, Cagliari