La politica è l’arte di dichiarare vittoria di fronte al proprio elettorato contro ogni evidenza. Così ha fatto ieri Alexis Tsipras. Il premier greco ha affermato di aver vinto con l’Unione Europea su alleggerimento del debito e finanziamento a lungo termine, e ha omesso di aver accettato una cessione di sovranità mai vista prima d’ora in tempo di pace. Tre giorni per fare sotto dettatura riforme della fiscalità, delle pensioni, una "lenzuolata" di liberalizzazioni, una riforma del mercato del lavoro, il rispetto del Fiscal Compact con automatici tagli di spesa in caso di violazioni, verifiche indipendenti sui conti e la riforma del codice civile. L’estrema rapidità del processo è subito apparsa l’unica soluzione possibile per ottenere tre obiettivi: tranquillizzare i mercati, recuperare la fiducia dei creditori (che chiedono gesti concreti e non dichiarazioni di intenti che bastano quando la fiducia c’è) ed evitare la crisi di liquidità del Paese avviando una trattativa sul debito che potrà portare alla riapertura delle banche. Non è detto che Tsipras abbia sbagliato ad accettare tutto questo. Nello scaffale delle opzioni disponibili ha trovato soltanto due possibilità. La ricetta dei creditori già confezionata o l’invito ad accompagnare la Grecia all’uscita, con l’abbandono dell’euro. Abbiamo detto più volte che l’abbandono della moneta unica come soluzione della crisi europea assomiglierebbe alla scelta di lanciarsi dal balcone perché in casa c’è un principio d’incendio. Per decidere se buttarsi o cercare invece di spegnere le fiamme bisogna sapere a che piano siamo (un conto è l’ammezzato, tutt’altro il decimo piano e in economia, purtroppo, non è facile capirlo).È un dato di fatto che la Grecia sul ciglio del balcone abbia guardato sotto e deciso di non buttarsi. I suoi governanti avranno probabilmente valutato che il battere moneta propria (pesantemente svalutata verso l’euro) e la fiammata inflazionistica prodotta dall’aumento degli input importanti (che avrebbe bruciato una parte rilevante della ricchezza residua) erano un gioco che non valeva la candela. E che un Paese così poco versato nel manifatturiero, con il solo turismo a livelli di eccellenza, riesca a beneficare grazie all’euro di competitivi così robusti da controbilanciare i costi. Pur indirizzato verso una soluzione interna, il processo non appare privo d’insidie e ogni piccolo incidente rischia di far saltare tutto. Riuscirà il Parlamento greco ad approvare in tre giorni tutto il pacchetto? Con la pistola puntata alla tempia delle banche chiuse è più che probabile. Ma con quale maggioranza? E, poi, accetteranno i Parlamenti dei Paesi "falchi" della Ue di ratificare l’accordo?
Su queste colonne, anche con un appello sostenuto da "Avvenire" è firmato da più di 350 economisti, abbiamo affermato che esiste una terza opzione migliore che è poi quella seguita dagli Usa dopo la crisi finanziaria globale. Una politica fiscale europea espansiva, un programma generale di ristrutturazione del debito per tutti i Paesi membri, oltre al quantitative easing opportunamente già varato da Mario Draghi e a ben calibrate riforme. Insomma, l’opzione di un indirizzo moderatamente espansivo delle politiche macroeconomiche, che ci riporti sul tasso inflazione obiettivo della Bce, contribuendo a ridurre il valore reale del debito. Ma per fare tutto questo è necessario un livello di fiducia reciproca, di solidarietà e, sì, di fraternità che consenta di approdare alla condivisione delle risorse. Un livello a cui sono arrivati gli Stati federali, ma non la Ue dal "braccino corto". Una terza opzione che, al momento, non è "negli scaffali", cioè non fa parte della cultura dominante europea impregnata di Fiscal Compact e di pareggio di bilancio. E Tsipras non ha potuto sceglierla. Il compito della nostra generazione, e di quella che segue, è provare a costruirla.
Non abbiamo ceduto sul taglio nominale del debito, dice Angela Merkel. Abbiamo ottenuto un alleggerimento, ribatte Tsipras. Poiché effetti di taglio nominale o di allungamento scadenze e di riduzione d’interessi possono equivalersi, l’importante è raccontare a ciascuno quello che vuole sentirsi dire. Già, la politica è l’arte di dichiarare vittoria al proprio elettorato contro ogni evidenza e si fonda anche su ignoranze involontarie o bugie volute. Cose che accadono quando la vera posta in gioco – la sopravvivenza dell’Europa nella contesa elettorale tra eurofavorevoli ed euroscettici in Paesi chiave come Italia, Spagna e Francia – è così elevata. Quando avremo il coraggio di dire agli elettori che ogni parte ha dovuto cedere qualcosa per arrivare all’accordo (perché un accordo che rilancia la cooperazione è molto meglio di una rottura) avremo fatto un passo avanti verso un Europa diversa.