Il direttore risponde. Profughi, né campi né limbo
Gentile direttore,
ho avuto modo di consultare la documentazione che la figlia di un illustre medico chirurgo bresciano conserva gelosamente. Suo papà fu costretto, dopo aver perso il lavoro in ospedale dove operava con grande soddisfazione e prestigio professionale, a fuggire in Svizzera in seguito alle leggi razziali e alla nascita della Repubblica di Salò. Ebbene, la figlia – allora quindicenne – appena arrivata in Svizzera ricevette dei documenti di identificazione completi di fotografia e in considerazione della giovane età fu affidata a una coppia di anziani coniugi. Quando compì 16 anni, venne trasferita in un campo profughi e le venne proposto di seguire un corso di puericultura. Una volta terminato quel corso, venne impiegata in un reparto ospedaliero. Forse anche noi dovremmo prendere ad esempio quello che fece la Svizzera circa 70 anni fa...
Francesco Zanatta, Brescia