Opinioni

Piccolo bilancio. Profughi in Val di Vara: com'è finita, anzi continua

Sandro Lagomarsini domenica 15 dicembre 2019

I lettori di questo giornale hanno seguito negli anni notizie e appelli riguardanti i migranti approdati in Val di Vara. Forse gradiscono una riflessione conclusiva su questa esperienza di accoglienza e integrazione. Il Centro di assistenza ai profughi di Varese Ligure ha funzionato dal 2011 al 2018. Ricollocati in altre strutture liguri i primi nuclei di giovani subsahariani, assistiti a lungo i giovani del Bangladesh; esperti in ristorazione e sartoria, che si sono poi trasferiti presso connazionali in Lazio e Campania. Diffidenze e paure iniziali da parte dei locali non sono durate a lungo. Neppure i sentimenti di ostilità alimentati da politici xenofobi hanno fatto presa. Ma sono le forme dell’accoglienza che hanno funzionato: presenza dei giovani migranti cattolici sia alla Messa che alle feste patronali, incontri con i ragazzi del catechismo e con gli studenti delle scuole superiori, aiuto dei richiedenti asilo agli anziani del luogo. Non è mancata una squadra "All’Africa" che ha partecipato ai tornei estivi di calcetto, vincendo anche una coppa nel 2018.

Non è azzardato considerare questa esperienza come un modello da imitare. Ma è stato con l’ultima ondata, arrivata attorno al 2015, che si sono raggiunti risultati di inclusione importanti. A parte un certo numero di giovani che si sono trasferiti all’estero senza attendere le risposte delle Commissioni o dei Tribunali, gli altri hanno sfruttato la permanenza nel Centro in modo costruttivo. Ai corsi interni di Italiano, molti ragazzi hanno aggiunto la preparazione all’esame di licenza media. La piccola diaria giornaliera è servita ai più per ottenere la patente di guida o frequentare corsi professionali. Oggi si vedono i frutti dell’impegno di questa gioventù. Merito anche delle nostre Autorità che finalmente applicano le regole internazionali sul diritto al lavoro dei migranti. Edy lavora a Bologna nella movimentazione merci. Ismael è stato assunto da una ditta del porto della Spezia. Mamadou e Salieu hanno contratti con aziende agricole, Idrissu con una azienda del marmo della Val di Magra. Gomez e Aliou sono nel settore dei tessuti e della tappezzeria. Lissa gioca in una squadra locale e fa servizio volontario per i trasportatori del 118...

Resta il problema di chi non ha un contratto di lavoro. Eppure ce ne sarebbe di lavoro "para-domestico", sia in campagna sia nelle periferie cittadine: pulizie dei giardini, coltivazione degli orti, raccolta dei piccoli frutti e del legname da ardere... È una economia di manutenzione di grande significato sociale. Ma si tratta di attività per le quali i privati, spesso avanti con l’età, non possono fare contratti di lavoro. Lo strumento dei "voucher", che prevedeva una giusta paga oraria e una copertura assicurativa, poteva risolvere il problema, ma è stato abolito. Forse all’uso improprio o fraudolento, si poteva rispondere con una più accurata regolamentazione. Le nostre comunità hanno visto e compreso le ricadute positive del rimediare. Le nostre comunità hanno visto e compreso le ricadute positive dell’accoglienza. Sarebbe insano non utilizzare al meglio questa nuova linfa che rianima il nostro tessuto sociale di periferia.